Il “patrimonio spirituale” che unisce cattolici ed ebrei, fondamento “teologico” di un dialogo che si è rafforzato dal Concilio vaticano II in poi. L’aumento della conoscenza reciproca nei seminari, nei centri di formazione dei laici cattolici e presso le comunità ebraiche. Il “comune servizio a favore dei poveri, degli emarginati, dei sofferenti”. Il viaggio di maggio prossimo a Gerusalemme.
Questi i temi principali affrontati da Papa Francesco durante l’incontro con la delegazione dell’American Jewsih Committee (Ajc), il Comitato ebraico americano che intrattiene da tempo un dialogo con la Santa Sede. Nella sala del Concistoro del palazzo apostolico, il Pontefice ha incontrato circa 55 membri dell’associazione, confermando la cordialità dei rapporti con l’ebraismo.
“La vostra organizzazione, che ha avuto diversi incontri in passato con i miei predecessori, mantiene buoni rapporti con la Santa Sede e con molti esponenti del mondo cattolico”, ha detto Bergoglio all’organizzazione guidata da Stanley Bergman. “Vi sono molto grato per avere fornito nel corso degli anni un qualificato contributo al dialogo e alla fraternità tra ebrei e cristiani, e vi incoraggio a continuare su questa strada”.
“L’anno prossimo commemoreremo il 50esimo anniversario della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, che ancora oggi costituisce per la Chiesa il punto di riferimento imprescindibile per i rapporti con i nostri ‘fratelli maggiori’. A partire da quel Documento si è sviluppata con rinnovato vigore la riflessione sul patrimonio spirituale che ci unisce e costituisce il fondamento del nostro dialogo. Questo fondamento è teologico, e non semplicemente espressione del nostro desiderio di rispetto e stima reciproci, pertanto è importante che il nostro dialogo sia sempre profondamente segnato dalla consapevolezza della nostra relazione con Dio”.
Il Papa ha poi sottolineato che “ebrei e cristiani possano agire insieme per la costruzione di un mondo più giusto e fraterno. E a questo riguardo mi preme ricordare in modo particolare il comune servizio a favore dei poveri, degli emarginati, dei sofferenti. Questo nostro impegno è ancorato a ciò che – ha proseguito il Papa citando il libro biblico dell’Esodo – le Scritture rivelano a proposito della protezione del povero, della vedova, dell’orfano, dello straniero. È un compito affidatoci da Dio, che rispecchia la sua santa volontà e la sua giustizia, un autentico dovere religioso”.
Il Papa ha anche caldeggiato l’impegno a “trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio di conoscenza reciproca, di stima e di amicizia costruito in questi anni” auspicando che “il tema delle relazioni con l’ebraismo rimanga vivo nei seminari e nei centri di formazione dei laici cattolici, così come confido che anche presso le comunità ebraiche e i giovani rabbini si accresca l’interesse per la conoscenza del cristianesimo”.
Prima di congedarsi, Bergoglio ha ricordato che tra qualche mese avrà “la gioia” di recarsi a Gerusalemme, nel quadro di un viaggio in Israele, Palestina e Giordania dal 24 al 26 maggio, “là dove – ha detto menzionando il salmo 87 e il libro di Isaia – tutti noi siamo nati e dove tutti i popoli un giorno convergeranno. Accompagnatemi, per favore, con la vostra preghiera, affinché questo pellegrinaggio porti frutti di comunione, di speranza e di pace. Shalom!”.
A gennaio il Papa aveva ricevuto nella casa Santa Marta in Vaticano un gruppo di rabbini argentini guidati dal suo amico Abraham Skorka.
Quanto all’American Jewish Committee, già nei mesi scorsi il rabbino David Rosen aveva espresso il suo apprezzamento nei confronti del Pontefice argentino, affermando che “non c’è mai stato un Papa con una comprensione così profonda degli ebrei come Papa Francesco”.
Il presidente dell’Ajc Stanley Bergman, che si è rivolto al Papa definendolo un “vero amico”, ha espresso “profonda gratitudine” per il’impegno di Papa Francesco nelle relazioni tra cattolici ed ebrei ed ha detto che la prossima visita a Gerusalemme è “molto attesa”, assicurando preghiere affinché “sia di ispirazione per tutti nella regione al fine di respingere il cammino di violenza e perseguire il cammino di pace”. “Riteniamo – ha detto Bergman in un discorso poi diffuso dall’Ajc – che forse il luogo più sicuro per i cristiani nella regione oggi è lo Stato ebraico”. Il presidente dell’American Jewish Committee ha anche ricordato il “categorico rifiuto” dell’antisemitismo da parte della Santa Sede e ha elogiato l’impegno di una vita di Jorge Mario Bergoglio con la comunità ebraica argentina.
La delegazione ebraica americana ha regalato al Papa una copia del catalago di una recente mostra esposta al Jewish Museum di New York intitolata “Chagall: Love, War and Exile” (“Chagall: amore, guerra ed esilio”), “che include – sottolinea la nota – una delle opere d’arte preferite del Papa, la White Crucifixion (crocifissione bianca, ndr.)” composta dal pittore ebreo.
In merito al rapporto tra ebraismo e Chiesa cattolica, peraltro, proprio ieri il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei) Renzo Gattegna ha tributato un ricordo al “coraggioso impegno” del monsignore trentino Igino Rogger, scomparso ieri all’età di 94 anni, che, all’epoca del Concilio vaticano II, promosse l’abolizione dell’”ignominioso culto di san Simonino e il suo richiamo a un’epoca di persecuzione basata sull’infamante ‘accusa del sangue’ che tanti lutti ha portato alle comunità ebraiche d’Europa attraverso i secoli”.