Papa Francesco: “Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita”

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“Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita”, è quanto ha affermato papa Francesco ieri, 24 giugno, durante l’incontro in Vaticano con la delegazione dell’, guidata dal presidente Lawrence H. Schiffman.
Papa Francesco, che era al suo primo incontro con un gruppo ufficiale di rappresentanti di  organizzazioni e comunità ebraiche, ha voluto ricordare in particolare il Concilio Vaticano II e la dichiarazione contenuta nell’enciclica Nostra Aetate – “per la Chiesa cattolica un punto di riferimento fondamentale per quanto riguarda le relazioni con il popolo ebraico”che “condanna fermamente gli odi, le persecuzioni, e tutte le manifestazioni di antisemitismo”.

Nel corso del suo discorso il papa ha ricordato inoltre che da oltre quarant’anni la Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo, intrattiene un “dialogo regolare” con il mondo ebraico. I ventuno incontri succedutisi in tutti questi anni, ha aggiunto il Pontefice, “hanno contribuito a rafforzare la reciproca comprensione e i legami di amicizia tra ebrei e cattolici”.

Il testo integrale del discorso di papa Francesco, riportato sull’Osservatore Romano di oggi, 25 giugno:

Cari Fratelli maggiori, shalom! Con questo saluto, caro anche alla tradizione cristiana, sono lieto di dare il benvenuto alla delegazione dei responsabili del “Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose” (International Jewish Committee on Interreligious Consultations). Rivolgo un cordiale pensiero anche al Card. Koch, così come agli altri membri e collaboratori della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, con la quale mantenete da più di quarant’anni un dialogo regolare. I ventuno incontri realizzati sino ad oggi hanno certamente contribuito a rafforzare la reciproca comprensione ed i legami di amicizia tra ebrei e cattolici. So che state preparando il prossimo raduno, che avrà luogo in ottobre a Madrid e che avrà per tema: “Sfide alla fede nelle società contemporanee”. Grazie per questo vostro impegno! In questi primi mesi del mio ministero ho già avuto modo di incontrare illustri personalità del mondo ebraico, tuttavia questa è la prima occasione di conversare con un gruppo ufficiale di rappresentanti di  organizzazioni e comunità ebraiche, e per questo non posso non richiamare quanto solennemente affermato nel n. 4 della Dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II, che rappresenta per la Chiesa cattolica un punto di riferimento fondamentale per quanto riguarda le relazioni con il popolo ebraico. Attraverso le parole del testo conciliare, la Chiesa riconosce che «gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti». E, quanto al popolo ebraico, il Concilio ricorda l’insegnamento di San Paolo, secondo cui «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili», ed inoltre condanna fermamente gli odi, le persecuzioni, e tutte le manifestazioni di antisemitismo. Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita! I fondamentali principi espressi dalla menzionata Dichiarazione hanno segnato il cammino di maggiore conoscenza e comprensione reciproca percorso negli ultimi decenni tra ebrei e cattolici, cammino al quale i miei predecessori hanno dato notevole impulso sia mediante gesti particolarmente significativi sia attraverso l’elaborazione di una serie di documenti che hanno approfondito la riflessione circa i fondamenti teologici delle relazioni tra ebrei e cristiani. Si tratta di un percorso di cui dobbiamo sinceramente rendere grazie al Signore. Esso tuttavia rappresenta solamente la parte più visibile di un vasto movimento che si è realizzato a livello locale un po’ in tutto il mondo, e di cui io stesso sono testimone. Lungo il mio ministero come Arcivescovo di Buenos Aires — come ha segnalato il Signor Presidente — ho avuto la gioia di mantenere relazioni di sincera amicizia con alcuni esponenti del mondo ebraico. Abbiamo conversato spesso circa la nostra rispettiva identità religiosa, l’immagine dell’uomo contenuta nelle Scritture, le modalità per tenere vivo il senso di Dio in un mondo per molti tratti secolarizzato. Mi sono confrontato con loro in più occasioni sulle comuni sfide che attendono ebrei e cristiani. Ma soprattutto, come amici, abbiamo gustato l’uno la presenza dell’altro, ci siamo arricchiti reciprocamente nell’incontro e nel dialogo, con un atteggiamento di accoglienza reciproca, e ciò ci ha aiutato a crescere come uomini e come credenti. La stessa cosa è avvenuta e avviene in molte altre parti del mondo, e queste relazioni di amicizia costituiscono per certi aspetti la base del dialogo che si sviluppa sul piano ufficiale. Non posso pertanto che incoraggiarvi a proseguire il vostro cammino, cercando, come state facendo, di coinvolgere in esso anche le nuove generazioni. L’umanità ha bisogno della nostra comune testimonianza in favore del rispetto della dignità dell’uomo e della donna creati ad immagine e somiglianza di Dio, e in favore della pace che, primariamente, è un dono suo. Mi piace qui ricordare le parole del profeta Geremia: «Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo — oracolo del Signore — progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29, 11). Con questa parola: pace, shalom, vorrei anche chiudere questo mio intervento, chiedendovi il dono della vostra preghiera e assicurandovi la mia. Grazie.