di Ester Moscati
Paolo De Benedetti è una persona alla quale non si può non voler bene: la sua mitezza, la sua umanità, l’umiltà unita ad una stupefacente erudizione, la capacità straordinaria di rendere comprensibili concetti altissimi, la comunicativa…
Tutto questo porta a provare, oltre all’ammirazione, un affetto profondo verso Paolo, da parte di tutti quelli che si trovano ad incrociare il suo cammino; e in tanti anni sono stati diversi gli ambiti, i luoghi, le esperienze che hanno reso possibili questi incontri.
Così, alla libreria Claudiana, per la presentazione del libro Il paradiso delle piccole cose. Paolo e Maria de Benedetti si raccontano (di Pietro Mariani Cerati e Luigi Rigazzi, Imprimatur editore), l’atmosfera era quella di una riunione intima tra vecchi amici, nonostante la sala gremita.
Umberto Eco è l’amico dei tempi alla Bompiani e ha scritto per il libro una prefazione in versi, letta dall’attrice Marina Bassani (che di Paolo è cugina), «PDB è quell’erudito che riuniva molti saggi a parlar di personaggi nella casa di Bompian. Poi un dì come un rabbino strologò sugli Elohim insegnando anche ai goym cos’è il Vecchio Testament». «PDB a noi insegna il segreto nom di Dio; ah sapessi anco pur io tanto ebraico quanto lui! Quando legge le Scritture noi ci vien lo stranguglione, ché cotanta erudizione a noi dona il mal di mar». Versi che riecheggiano la comune passione per il divertimento letterario e i non-sense (cui De Benedetti ha dedicato un prezioso, piccolo libro Nonsense e altro – Scheiwiller).
Rav Giuseppe Laras incontra Paolo De Benedetti attraverso il Cardinale Martini, fondatore della Cattedra dei non credenti che affidò a Paolo. Siamo negli anni Ottanta a Milano, ancora difficili per il dialogo interreligioso, che vede impegnati Rav Kopciowski, Renzo Fabris, ma anche le Suore di Sion che in via Machiavelli organizzavano incontri di dialogo e lezioni di ebraico biblico, perché, come ha detto Mons. Luigi Nason, moderatore dell’incontro, “chi studia il cristianesimo senza partire dalle scritture ebraiche è completamente fuori strada”.
Anche Maria De Benedetti, sorella di Paolo, è stata “istigata a dire qualcosa di me in questo libro. Dalla ebraicità di Paolo ho ricavato una indicazione di metodo per il mio lavoro di psicologa; ho privilegiato il ‘fare domande’ e ho spinto l’interlocutore a trovare le risposte. È la radice ricevuta dalla storia della nostra famiglia”. Una famiglia molto complessa e molto numerosa divisa tra ebrei e cattolici e tutte le gradazioni intermedie. In convivenza non sempre facile ma molto solidale e unita.
Un incontro, quello della Claudiana, nel segno quindi del rispetto e dell’affetto, in cui con delicatezza e nostalgia si è parlato di molte cose: di amicizia, di teologia (anche di teologia degli animali, che PDB colloca in paradiso insieme agli umani, perché gli animali partecipano dell’immortalità), di Piemonte ebraico e generazioni (la storia per l’ebraismo è Toledod, generazioni di uomini; e non Storia alla greca, come “indagine”), grazie anche alle parole di un altro amico, Amos Luzzatto; e di ebraismo, come libertà di esprimere il pensiero e l’insegnamento “dell’altra interpretazione”, con la dignità degli opposti, perché tutti abbiamo un piccolo frammento di verità.
“Nella cultura ma soprattutto nella tradizione ebraica – dice Paolo – non si può mai mettere la parola fine. C’è sempre qualcosa da chiedere e da rispondere. Anche Dio nella Bibbia fa molte domande: Dove sei? Inneni, eccomi. È importante scrivere le storie degli uomini come questo libro. La storia delle famiglie e delle generazioni serve ad evitare che si perda il passato. E salva Dio dalla solitudine. Il rapporto tra Dio e uomo si puoi realizzare dall’Alto verso il basso o viceversa, salendo o scendendo come sulle scale. Per i cristiani è fondamentale che Dio abbia bisogno di un figlio e per l’ebraismo che Dio sia chiamato padre, Avinu”. Ancora una volta, con tanto affetto.