di Gabriele Nissim
È possibile sconfiggere il terrorismo fondamentalista? È la domanda che ci si pone ogni volta che le chiese, le sinagoghe, le piazze d’Europa – ma ci aggiungerei anche Israele e tutti i Paesi arabi e africani come la Tunisia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Somalia, di cui si parla molto meno sulla nostra stampa, ma sono attaccati dallo stesso nemico – sono insanguinate da attentati.
Non è a mio avviso una coincidenza che nello stesso giorno in cui a Vienna una banda di terroristi insanguinavano la città, muovendosi dalle vie adiacenti alla sinagoga che fortunatamente era chiusa, a Kabul in un attacco all’università sono stati massacrati una ventina di studenti, dopo che la settimana prima l’Isis aveva rivendicato un attentato nel distretto occidentale della città in cui erano morti 24 ragazzi.
Che cosa dunque possiamo fare?
Prima di tutto è necessaria una battaglia culturale che dobbiamo costruire dal basso, giorno dopo giorno e che richiederà tempi lunghi, ma che è possibile vincere.
Me ne sono accorto qualche tempo fa, quando abbiamo fatto conoscere ai ragazzi delle scuole prima a Vercelli, poi a Milano, la figura di Lassana Bathily, il giovane musulmano maliano che con il suo coraggio aveva salvato gli ebrei nel supermercato Kosher di Parigi durante i terribili attentati di Charlie Hebdo.
Allora quel giovane mi colpì perché non disse una parola ai ragazzi sulle vignette su Maometto, non fece alcun discorso per sostenere che il radicalismo poteva nascere dalle situazioni disagevoli delle periferie di Parigi. Disse soltanto una cosa chiara e precisa. Sua madre gli aveva insegnato a considerare tutti gli uomini e tutte le donne, cristiane, musulmane, ebree uguali e che il comandamento fondamentale della religione era sempre quello di non uccidere e di andare sempre in soccorso agli altri.
Per questo era stato per lui del tutto normale non solo lavorare come musulmano in un supermercato gestito dagli ebrei, ma poi rischiare la vita per salvarli.
Quelle parole semplici e sincere ebbero l’effetto di una bomba di umanità che, a differenza di quella dei terroristi, suscitarono gioia e speranza tra tutti i ragazzi. I musulmani presenti lo considerarono come un eroe di cui essere fieri ed orgogliosi e i genitori di alcuni ragazzi che probabilmente avevano a Vercelli dei pregiudizi verso i musulmani furono poi contenti nel vedere l’entusiasmo che quel giovane aveva creato nei loro figli.
Sono convinto che la scuola sia un luogo privilegiato in tutta Europa per insegnare ai ragazzi di provenienze diverse i valori del rispetto e della dignità ed evitare una possibile infiltrazione del discorso terrorista. Ma non è solo questo il punto. Abbiamo bisogno di una élite morale musulmana che si assuma il compito di parlare ai giovani, alla società e nelle moschee con lo stesso spirito di Lassana Bathily.
Ricordare il valore sacro della vita umana, l’eguaglianza degli uomini con credi diversi, il valore della laicità dello Stato, dovrebbe diventare il loro compito in questa situazione di emergenza.
Purtroppo ci troviamo a osservare molta timidezza, troppi distinguo.
Noi però possiamo aiutare questo percorso difficile ricercando e valorizzando i musulmani coraggiosi che esistono nella società e di cui non si parla mai.
Dobbiamo diventare in questo senso pescatori di perle, perché come osservava la filosofa Agnes Heller gli uomini buoni esistono sempre, ma sta a noi farli conoscere e toglierli dall’anonimato.
Dunque farli parlare nelle scuole, invitarli ai dibattiti, raccontare le loro storie sui giornali è una terapia fondamentale per sconfiggere il terrorismo. La costruzione di questa rete dipende molto anche da noi. Dobbiamo per certi versi fare anche autocritica, perché spesso diamo una scarsa attenzione a tutte le voci nei Paesi arabi e musulmani che tra mille difficoltà e spesso a rischio della vita combattono per i diritti umani, per quelli delle donne e per la democrazia.
C’è un punto fondamentale che mi ricorda la discussione sull’antisemitismo. Ci sono due interpretazioni. Alcuni sostengono che l’antisemitismo riguarda solo gli ebrei e che sia una variabile indipendente da quello che accade nel resto dell’umanità. Altri invece, giustamente, sostengono che l’antisemitismo inquina l’umanità intera e si manifesta ogniqualvolta l’umanità prende una cattiva direzione. Non è un caso che i pregiudizi verso gli ebrei si manifestano ogni volta che appaiono sulla scena nazionalismi deteriori, dittature, totalitarismi. Pensare per esempio, come sostengono alcuni, che il futuro di Israele e degli ebrei non c’entri con lo stato del mondo non solo è irresponsabilità, ma è la più stupida delle illusioni.
Lo stesso discorso si ripropone nei confronti del terrorismo fondamentalista. Come ha osservato il pensatore contemporaneo Yuval Harari, una buona parte dell’opinione pubblica ritiene che i terroristi islamici attacchino solo l’Occidente e che quindi è una questione che riguarda soltanto noi. Si tratterebbe quindi di erigere barriere per limitare le conseguenze di questi attacchi che segnano una divisione tra un noi occidentali e un loro musulmani.
Invece la realtà è assolutamente differente. I terroristi, come ogni gruppo totalitario, attaccano l’umanità intera e le prime vittime di queste crociate sanguinose sono gli stessi arabi e musulmani. Come ha ricordato Pierre Haski su “Internazionale” la maggioranza delle vittime del terrorismo è costituita dai musulmani, uccisi per spingerli a sottomettersi dall’Afghanistan, alla Nigeria, dal Caucaso, all’Algeria, alla Somalia.
Ecco perché la possibilità di coinvolgere le migliori e più illuminate menti musulmane nella battaglia contro il terrorismo in Europa dipenderà dalla nostra capacità di farci carico della battaglia per la democrazia nei Paesi arabi e teocratici. Non è un percorso facile, ma è soltanto a questo livello che possiamo costruire una battaglia comune in nome della difesa della civiltà umana contro le barbarie.
C’è poi una novità che dobbiamo cogliere negli avvenimenti di questi giorni.
Oggi è la Turchia è il detonatore che ha acceso la miccia, dopo le vignette di Charlie Hebdo, ai gruppi terroristi in Europa.
Troppi in Europa, in Israele e nel mondo ebraico hanno sottovalutato il significato dell’attacco al Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian, sostenuto dalla Turchia. A parte la questione morale che dovrebbe vedere europei, israeliani ed ebrei uniti nel riconoscimento del genocidio armeno e quindi nella difesa morale dell’Armenia minacciata, quell’aggressione era il segno dell’inizio di una politica aggressiva e pericolosa.
Quando Erdogan ha dichiarato che i musulmani in Europa sono minacciati da una politica che ricorda la persecuzione nazista degli ebrei è stato molto chiaro.
Di fronte a questa minaccia (ovviamente solo nella sua immaginazione) diventa lecito per i musulmani prendere le armi ed usare tutti i mezzi. Così è successo a Nizza e a Vienna. Ed è forse solo l’inizio, se non saremo in grado di dare una risposta ferma e decisa. Ma dobbiamo darla tutti assieme, laici, cristiani, musulmani, ebrei d’Europa.