di David Zebuloni
Il fenomeno dei cosiddetti soldati soli in Israele è diventato ormai comune e sempre più apprezzato dagli stessi cittadini israeliani, che nel tempo hanno imparato ad aprire ai giovani volontari le loro case e i loro cuori. Quando parliamo di soldati soli, ci riferiamo ovviamente ai quei ragazzi e quelle ragazze provenienti da ogni angolo del mondo e arrivati in Israele unicamente per prestare servizio militare nelle forze di difesa israeliane, lasciando così le loro famiglie e i loro paesi di origine a tempo spesso indeterminato.
Affascinato da questo fenomeno, il fotografo canadese Brant Slomovic ha dedicato gli ultimi cinque anni della sua vita ad immortalare questi giovani eroi. “Quando ho sentito parlare per la prima volta di soldati soli, mi ha colpito soprattutto il loro straordinario senso di appartenenza allo Stato di Israele”, ha detto Slomovic in un’intervista al Times of Israel, realizzata dalla sua casa a Toronto. “Guardandoli, ho potuto capire meglio me stesso e le scelte che ho fatto nella mia vita.”
Slomovic ha recentemente pubblicato il suo primo libro, intitolato The Cracks in Everything (in italiano, Le crepe in ogni cosa), nel quale presenta i ritratti realizzati a sessanta soldati soli provenienti da 17 paesi diversi. “Girando le basi militari di tutto il paese, sono rimasto molto colpito dal desiderio di questi ragazzi di dare il loro contributo per servire qualcosa che è più grande di loro”, ha detto Slomovic al Times of Israel. “La maturità, la disponibilità, il senso di sacrificio di questi ragazzi mi ha ricordato la vecchia scuola, nel senso migliore del termine.”
In Israele ci sono all’incirca 3.500 soldati soli che prestano servizio nell’esercito di difesa israeliano, la maggior parte dei quali provengono dal Nord America o dalle nazioni dell’ex Unione Sovietica. Altri invece provengono dall’Europa o da paesi come il Panama, l’Argentina, il Brasile, l’Australia, l’India e l’Etiopia. Molti dei soldati volontari europei, provengono proprio dall’Italia.
A prendere parte all’ambizioso progetto fotografico, infatti, è stato Samuel Capelluto, nato e cresciuto a Milano e arrivato in Israele nel 2016 per terminare i suoi studi liceali ed arruolarsi nell’esercito di difesa israeliano come soldato solo. “Sono stato scelto da Slomovic insieme ad un altro ragazzo, proveniente dal Belgio, che serviva nella mia stessa base militare”, ha raccontato Capelluto a Mosaico. “Slomovic ci ha portato in un bellissimo posto, con un paesaggio desertico mozzafiato. È stato bello vedere come la sua arte abbia unito i due mondi: il suo e il nostro. È stato emozionante riscoprirci attraverso i suoi occhi di artista, ci ha fatto sentire importanti. Poteva scegliere di ritrarre qualunque altro soldato, ma lui ha scelto proprio noi, soldati soli, e l’ha fatto con grande professionalità e grande umanità.”