di Daniela Dana Tedeschi, presidente Associazione Figli della Shoah
Pochi giorni fa abbiamo celebrato Yom Hashoah al Beit Hakneseth di Via della Guastalla in un tempio quasi vuoto.
Pochi, troppo pochi erano i presenti.
La presunta difficoltà ad arrivare in centro, l’orario scomodo, i tanti impegni quotidiani, l’ancora complicata situazione sanitaria, sono motivi non sufficientemente validi per giustificare l’assenza a una ricorrenza così importante e negli anni sempre meno partecipata.
Dovremmo forse chiederci cosa rappresenta per noi Yom Hashoah rispetto al Giorno della Memoria.
Da un lato nel mondo ebraico vi è sempre più ormai una crescente insofferenza per la celebrazione del 27 gennaio, ritenuta sempre più spesso un rituale retorico, banalizzato e strumentalizzato.
Dall’altro, nel mese di gennaio ogni istituzione ebraica si sente in dovere di programmare iniziative e manifestazioni per commemorare la Shoah, aderendo ad una legge dello Stato destinata in realtà alle istituzioni pubbliche per ricordare ciò che è stato.
Il 27 gennaio siamo tutti presenti all’appello che questa ricorrenza ci impone, delegando così a rappresentanti degli organi istituzionali il dovere della nostra Memoria.
Ma c’è una data che lega tutto il popolo ebraico, nella Diaspora e in Israele, nel ricordo della Shoah: è il 27 di Nissan.
E in quella data stranamente nessun ente ebraico organizza eventi né manifestazioni celebrative.
Vi è solo la lettura dei nomi e la commemorazione delle vittime nella Sinagoga di Via Guastalla; eppure, il tempio rimane inspiegabilmente vuoto.
Perché quando abbiamo la possibilità di commemorare intimamente, senza retorica o protagonismi le migliaia di vittime della Shoah, quando possiamo ascoltare i loro nomi, recitare un Kaddish in loro memoria non ci siamo?
Perché non rispettiamo il monito di ricordare, un monito che ci rende singolarmente responsabili affinché ogni vittima non venga dimenticata nella sua piena dignità, ora e nelle generazioni a venire?
Come possiamo pretendere che i nostri figli raccolgano il Testimone se i genitori non danno l’esempio?
Deleghiamo sempre più spesso la nostra partecipazione ai profili social, rinunciando così a portare, in presenza, il dovuto rispetto a quei sopravvissuti alla Shoah che nonostante la loro avanzata età accendono davanti a noi, e per noi, le sei candele della Memoria.
Quegli stessi sopravvissuti che si chiedono oggi, nel tempio desolatamente vuoto, chi ricorderà in futuro i loro cari.