Quando la moda diventa politica e senso di appartenenza. Israele, pro-Pal, propaganda e nuove tendenze

di Marina Gersony
Passerelle e after-party, un tempo scintillanti, sono ora offuscati dalle crisi internazionali. La moda, già provata dalla pandemia e dai conflitti in Ucraina e Medio Oriente, ne risente più che mai. Oggi, sono le strade e soprattutto i giovani a dettare le tendenze, trasformando il modo di apparire in un manifesto di disagio e dissenso, ma anche di rinascita e affermazione.

Ma la vera domanda è: può la moda, da sempre emblema di bellezza e innovazione, potenziare i movimenti sociali e influenzare la politica? Un legame spesso trascurato dai Fashion Studies, ma che sta diventando sempre più evidente. La moda non è più solo estetica: è un mezzo di protesta e cambiamento. Instagram e TikTok, un tempo regno di outfit e celebrità, oggi pullulano di immagini di guerra e slogan, dal richiamo alla violenza agli appelli per la pace. Dalle T-shirt provocatorie ai design che sfidano le norme, la moda può plasmare l’opinione pubblica e alimentare il dibattito politico, diventando uno strumento di espressione per intere generazioni. E così, la moda si muove su un filo sottile tra l’effimero e l’essenziale, tra lo stile e l’impegno.

La moda israeliana riparte dopo il 7 ottobre

Profondamente segnato dall’attacco del 7 ottobre, in Israele la moda si sta adattando per rincuorare, sostenere e sollevare gli animi. Se da un lato le ultime cronache riportano che sempre più ebrei della diaspora in Europa e negli Stati Uniti si trovano costretti a nascondere la propria identità per paura dell’antisemitismo, rinunciando a indossare la kippà o altri simboli ebraici, dall’altro, in Israele, la moda si rinnova e si evolve, riflettendo una risposta vibrante e positiva ai tempi difficili. Colori! Gli israeliani cercano di migliorare il loro umore con tinte vivaci. Mentre i riservisti militari ritrovano un momento di tregua, si distaccano dai toni grigio oliva e cachi, celebrando invece la loro individualità attraverso il colore.

Identità e orgoglio

In Israele, l’abbigliamento sta diventando una forma di espressione dell’identità nazionale. Dal 7 ottobre, preghiere, slogan, la Stella di David, mappe di Israele e nastri gialli per gli ostaggi adornano vestiti e gioielli. Le persone desiderano mostrare con orgoglio i simboli della loro nazione, e anche i tatuaggi riflettono questa tendenza.

Alcuni critici avvertono che l’uso di simboli nazionali e temi militari nei capi d’abbigliamento potrebbe rischiare di ridurre la gravità della sofferenza umana provocata dal conflitto, mentre altri lodano la creatività e il desiderio di rinascita di un popolo che fatica a riprendersi dagli eventi recenti. Le cronache segnalano che ebrei di tutto il mondo stanno riscoprendo vecchi regali di B’nei Mitzvah o acquistando nuovi articoli con simboli ebraici. La Jewelry Judaica, con sede in California, ha riportato un aumento delle vendite del 450% tra il 7 ottobre e il 7 dicembre 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con l’85% di questi articoli recanti la Stella di David. Nel frattempo, le vendite al Jewish Museum di New York sono triplicate.

La terapia dello shopping

Secondo l’assistente sociale e terapeuta di Gerusalemme Hadassah Fidler, l’effetto degli abiti sulla psiche è stato studiato a lungo. Infatti, secondo uno studio del National Institutes of Health, le squadre di football che vestono di bianco hanno maggiori probabilità di vincere rispetto alle squadre che vestono di verde. Un altro studio ha dimostrato che il colore di una divisa da football influisce sulla visibilità e sul successo della squadra. Fidler afferma che tutte le divise influenzano chi le indossa e allo stesso tempo il modo in cui gli altri li percepiscono.  «Ciò che indossi può riflettere come ti senti e, in alcuni casi, può aiutarti a provare una sensazione diversa – spiega –. La terapia dello shopping dà davvero alle persone una scarica di adrenalina. Quando qualcuno indossa vestiti nuovi, si prova una sensazione di rinnovamento». 

Funzionalità e stile

Anche se i soldati tendono a evitare l’abbigliamento militare fuori servizio, le donne non militari cercano un look potente e pratico, caratterizzato da tasche multiple, velcro e dettagli funzionali. Alcuni stilisti stanno integrando tessuti tattici nei capi civili, includendo elementi come tasche, cerniere e catene, per riflettere la praticità richiesta in tempi di crisi.

Moda inclusiva

Con l’aumento dell’attenzione verso l’accessibilità, anche la moda sta diventando più inclusiva per le persone con disabilità. Marchi come Renuar e Fix stanno presentando amputati nelle loro campagne pubblicitarie, mentre aziende come Palta e Mikita stanno creando collezioni pensate per accogliere le esigenze dei disabili.

Dinamiche della diaspora

Gli stilisti israeliani della diaspora stanno creando look che incoraggiano e offrono forza in tempi di paura. Paradossalmente, i consumatori stanno optando per il nero e riducendo l’uso di colori vivaci, con le donne ebree che preferiscono non mostrare apertamente la loro identità ebraica.

Tuttavia, fuori da Israele, i colori rosso, verde e nero stanno guadagnando popolarità nella moda. La scrittrice di moda Jené Luciani Sena sottolinea che le collezioni degli stilisti emergenti mostrano catene, pelle e abiti dall’aspetto “non rifinito”, riflettendo il tumulto globale. 

Comfort e praticità

In risposta allo stress crescente, molti cercano vestiti più comodi. Le nuove collezioni includono più opzioni plus-size e capi adattabili. Con la possibilità di dover correre ai rifugi antiaerei, alcuni stilisti stanno progettando abiti facili da indossare, ideali per muoversi rapidamente o per dormire.

Alta moda nuziale 

Le spose in tempo di conflitto stanno indossando abiti in colori insoliti come verde oliva, blu e bianco. Alcune creazioni, come l’abito “Swords of Iron” di Liat Mizrachi, sono progettate per commemorare il tragico evento del 7 ottobre.

 

Ritorno alla modestia

L’abbigliamento modesto sta guadagnando terreno, con molti ebrei, anche meno osservanti, che si rivolgono alla religione per trovare conforto. Questa tendenza si riflette in gonne eleganti, top più discreti e foulard, che stanno diventando sempre più comuni.

 

 

E il mondo musulmano? La kefiah: dalla resistenza alla moda mainstream

Come sono cambiate le norme dell’abbigliamento nel vasto mondo musulmano durante questo periodo di guerra? Le variazioni sono notevoli da un paese all’altro, poiché l’abbigliamento è influenzato non solo da principi religiosi, ma anche dai costumi locali, dalle tradizioni e dalle tendenze della moda globale. Tuttavia, un aspetto comune tra le diverse realtà è l’adozione di valori tradizionali, uno stile confortevole e un abbigliamento modesto e decoroso, spesso definito nel gergo della moda “Modest fashion”, con toni neutri per non attirare eccessivamente l’attenzione. Sebbene questi termini apparentemente neutrali, possono suscitare dibattiti accesi all’interno delle varie comunità.

Nel frattempo, soprattutto fra i giovani musulmani e simpatizzanti, la moda che si ispira alla guerra in corso fra Israele e Gaza abbondano anche nel mondo occidentale. Basta fare una passeggiata per le strade delle principali metropoli europee o americane per notare come simboli palestinesi, tra cui le kefiah, un tempo simbolo di lotta e resistenza, si siano trasformati in minigonne, bandane o crop top. Su TikTok spopolano i tutorial che mostrano come annodare una kefiah per creare una borsa da sera o un accessorio per una camicia. Conosciuta anche come keffiyah, kaffiyeh o keffiyeh (in italiano talvolta anche chefiah), è simile ad altri copricapi utilizzati in Medio Oriente. Indossata fuori dalla Palestina fin dagli anni Sessanta, oggi è diventata per i proPal un must-have, assumendo nuovamente un significato politico.

@alvmask

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Un trend diffuso online

Basta una semplice ricerca su Google per scoprire accessori multiuso con versioni che vanno dalle spille ai cappellini, dalle tazze di caffè ai bicchieri, dalle felpe ai maxi abiti estivi per signore e signorine. Si trovano modelli per tutti i gusti e per tutte le stagioni, con messaggi che vanno oltre la moda, come “Free Gaza” o “Free Palestine”. Il successo di questi accessori non è solo una questione di tendenza: è un riflesso di un mondo in cui l’abbigliamento diventa veicolo di ideologie e visioni politiche del momento. Come i giovani che indossano questi simboli durante le proteste cresciute in varie forme in decine di campus americani ed europei.

 

Fast fashion o sostegno politico?

Tuttavia il fenomeno presenta diverse letture. Un recente articolo del Forward esplora come i simboli proPal siano diventati in realtà soprattutto parte della fast fashion, ampiamente disponibili come merce a basso costo online. Molte aziende li vendono in varie forme, spesso senza alcun reale legame con la causa palestinese. Ad esempio, un sito che afferma «di aiutare i ragazzi della diaspora a rappresentare la loro cultura», propone felpe in stile college con la scritta “Palestine University” e “University of Palestine”, nonostante nessuna delle due istituzioni esista realmente.

Altre aziende offrono magliette che sembrano vintage, con design sbiaditi ispirati a un inesistente “Palestine Valley Music Festival” del 1971. Nonostante alcune imprese affermino di donare i proventi delle vendite a cause umanitarie, altre sfruttano semplicemente la tendenza per profitto, spedendo prodotti a tema “Free Palestine” direttamente dalla Cina. La crescente popolarità della kefiah (presentata online anche come “Tactical Military Shemagh”) e di altri simboli analoghi, solleva dubbi sull’autenticità di questo sostegno politico, soprattutto quando associato a un’industria nota per il lavoro a basso costo e le pratiche di produzione discutibili.

La conclusione è che, da un lato, questa moda rischia di diventare superficiale e transitoria quanto i prodotti fast fashion stessi; dall’altro, ciò non significa che la moda non possa essere politica; anzi, spesso è un modo potente per fare propaganda e influenzare soprattutto i giovani.

 

Un velo per le donne palestinesi

La situazione della popolazione palestinese, secondo quanto riportato da alcuni media arabi, è ben diversa, poiché il conflitto porta inevitabilmente a una carenza di risorse e a una realtà distante dalle mode superficiali o virtuali. Il velo o l’abito tradizionale che spesso avvolge le donne di fede musulmana varia nella foggia a seconda dei Paesi, ma in questo periodo di conflitto è diventato un indumento fondamentale per le donne a Gaza. Originariamente usato per la preghiera, attualmente viene ora indossato 24 ore su 24 per garantire dignità e modestia anche nei momenti di emergenza. Molte donne lo portano sia in casa che all’aperto, per essere pronte a scappare in caso di pericolo. Il velo diventa così un elemento complesso, carico di significati diversi: dalla protezione alla memoria delle sofferenze vissute.

In sintesi, la moda continua a essere un campo vorticoso e dinamico che riflette le tensioni e le trasformazioni sociali globali. Mentre alcuni elementi possono apparire effimeri e superficiali, altri rappresentano profondi legami culturali e politici, offrendo una lente unica attraverso cui osservare e comprendere il mondo in grande e rapido cambiamento.