di Naomi Stern
Ricerca e nuovi materiali. Innovazione ed eclettismo, tecnologia e voglia di sperimentare. Il made in Israel sfila sull’Hayarkon. Da Sharon Tal a Alon Livne alle bizzarrie degli studenti del prestigioso Shenkar College… Ecco chi sono i nuovi volti del fashion system sabra
Se è vero che la moda riflette la vivacità e il grado di benessere della società in cui si sviluppa, allora le prospettive per Israele dovrebbero essere eccellenti. Ed è quello che emerge non solo dopo le sfilate dell’ultima Fashion Week di Tel Aviv 2015, alla sua terza edizione nell’ottobre scorso, ma soprattutto dopo aver intervistato stilisti, artisti, fashion blogger, addetti ai lavori della galassia fashion d’Israele. Fantasia e gusto, nomi vecchi e nuovi. I più seguiti? Il brand storico Maskit, creato anni fa da Ruth Dayan, moglie di Moshe, ed ora in gran spolvero, letteralmente resuscitato dal talento di Sharon Tal (assistente di Alexander McQueen), che ha proposto una collezione strepitosa dai tessuti leggeri e setosi. E poi Shai Shalom, che ha puntato invece sul colore e sui tessuti poveri per esprimere il concetto di slow-fashion; ancora, gli studenti della Shenkar Academy che hanno osato, con capi multicolore, grandi lettere ebraiche applicate, trame futuriste e sneakers ai piedi. La nomenclatura modaiola è lunga e va da Idan Cohen a Liron Itzakov, da Sagit Naor a Galit Reismann, da Yaron Minkowski a Dorit Bar Or, a Ronen Chen, Sasson Kedem, Dorin Frankfurt, Comme Il Faut, Alembika…
Ma, al di là dalle passerelle e all’ombra dei flash dei fotografi, si nasconde molto altro. Un nuovo fashion system emergente, i cui nomi sono quelli di stilisti, fotografi, blogger come Ilana Efrati, Alon Livne, Bracha Benhaim, Tamar Branitzky, brand MeDusa, Joseph Haver, Ella Manor, Korin Avraham. Nomi che non ci dicono (ancora) nulla, ma di cui sentiremo presto parlare. Semplicità, comodità, coerenza con canoni di rispetto per la natura, sembrano essere le principali linee guida del made in Israel di oggi.
Non mancano certo le contaminazioni; tuttavia, in Israele sono la forza della natura, del clima e della società con le sue problematiche intestine e le differenze culturali – e soprattutto la vitalità di Tel Aviv, diventata ormai la New York del Mediterraneo -, a farla da padrone e a ripercuotersi sul mood e stile dell’emergente scena israeliana. Sulle passerelle della Gindi Fashion Week di Tel Aviv sfila un settore in pieno boom creativo ed economico, capace di creare oggi linee e capi pronti per essere esportati nel mondo, il sogno di ogni buyer a caccia di novità. Ecco chi sono i protagonisti del new fashion system israeliano.
Alon Livne
Ha vestito Beyoncè, Lady Gaga, Nina Garcia. Naomi Campbell lo adora. Alon Livne è oggi tra i più brillanti, creativi ed esplosivi nomi della scena stilistica made in Israel. Con i suoi 60 mila seguaci su Instagram, lo si può considerare uno dei nuovi big del fashion system made in Israel. La sua è la storia di uno stilista israeliano che alla Fashion week di New York fa il botto con i suoi fiabeschi e spettacolari abiti da sposa. Dopo un apprendistato da Alexander McQueen a Londra e da Roberto Cavalli a Firenze (aveva 21 anni), Alon stupisce il pubblico vincendo il fashion show Proyekt Maslul, la versione israeliana di Project Runway. A una settimana dalla vittoria, Alon apre il suo primo free-standing shop nel cuore di Tel Aviv, in Dizengoff Street. Lì inizia a realizzare a mano abiti ambitissimi e di un’eleganza speciale. Così, lancia sulle scene internazionali la sua collezione di abiti da sposa “Alon Livne White” che, dal 2013, sfila a New York. «Sento molto la mancanza di Israele. Vivo in Usa da qualche anno ma la mia famiglia è tutta laggiù, insieme a una parte del mio cuore. Ci torno appena posso».
Ilana Efrati
Il tema della natura declinato in forme e motivi arborei o acquatici. La nuvolosità del cielo e la punteggiatura astratta di un prato in fiore. Il gusto per i colori della terra. Ilana Efrati da 10 anni si considera un ponte tra Tel Aviv e l’Umbria, i suoi due luoghi di elezione. «L’incipit di ogni mia produzione artistica consiste nel capire il luogo. Sono 30 anni che lavoro a Tel Aviv ed è la sua vitalità ad influenzarmi. Cerco di adeguarmi alla luce e al clima locale, che è molto particolare rispetto a quello dei paesi europei o americani, che sono oggi i maggiori influencer nel campo della moda. Cerco anche di osservare lo street style, il modo di essere e vestire delle persone. Un approccio totalmente differente rispetto a Milano, Parigi o Mosca. Uso materiali adatti a un clima come quello israeliano: il lino e il cotone, da sempre usati nel Mediterraneo, fibre naturali perfette. Non sempre i capi che arrivano in Israele, da Milano o New York, sono adatti al clima torrido delle nostre città; per questo motivo lavoro controcorrente rispetto alle mode occidentali. Il mio lavoro è meno commerciale. Israele è una società giovane, le serve del tempo per costruire una propria identità nel campo del design e della moda».
Come nasce la scelta dell’Italia e dell’Umbria? «Dal mio bisogno di stare in mezzo alla natura. Attorno alla mia casa c’è un grande bosco e quando lo attraverso torno nella mia infanzia. Mi ricollego alla vita primigenia. Tutti abbiamo oggi l’esigenza di stare a contatto con la natura e io continuo a cercarla anche all’interno di grandi città come Tel Aviv». Durante la fashion week a Milano, Ilana Efrati ha presentato un nuovo progetto: moda e cultura attraverso il cashmere. «Spero di sviluppare una linea di maglie in cashmere umbro che si possa vendere anche a Tel Aviv. Il mio sogno? Presentare le mie creazioni a Milano, in uno spazio espositivo in cui si possano coniugare l’arte, la moda, la natura». Insomma, rigore, bon ton, minimal chic per una specie di Pupi Solari israeliana.
Joseph Haver
La montatura di occhiali elevata a opera d’arte. Originali, classici o eccentrici che siano,i suoi occhiali sono oggi, forse, tra i più trendy in circolazione. Joseph Haver produce montature geometriche e colorate ispirate a forme anni Quaranta, al Futurismo o agli anni Sessanta, tre periodi storici che sono il suo cavallo di battaglia. Il risultato sono collezioni che non passano inosservate, pronte a giocare con proporzioni e forme che inglobano eccentricità e minimalismo. Forme leggermente oversize, il largo profilo rotondo, le cornici quadrate o ottagonali non fanno perdere all’occhiale la leggerezza e la comodità. Ogni paio è studiato per dare attenzione alle caratteristiche anatomiche: gli occhiali sono infatti tagliati in modo da adattarsi perfettamente all’orecchio. «L’Italia ha una grande tradizione nella produzione di occhiali di ottima qualità e ha anche il miglior acetato, il Mazzucchelli, il principale materiale che utilizzo nelle mie montature di plastica. Produco tutti i miei occhiali in una piccola e storica fabbrica del sud Italia. Ho avuto la fortuna di esser stato contattato da loro dopo un articolo sulla mia boutique sull’Eyestylist Magazine. Sono alla ricerca della miglior qualità. È quindi logico che produca in Italia.
Quando progetto le mie creazioni non scendo a compromessi. Credo che la moda in Israele sia solo all’inizio della sua storia». La tavolozza dei colori del designer israeliano spazia dal nero, al bianco, al rosso e al grigio; una scelta di colori classici che enfatizzano la spettacolare montatura. Tra un cliente e l’altro, nel suo negozio a Tel Aviv, (59 Sderot Chen Street), Haver riflette sull’“israelianità” della sua vena creativa e conferma: mai potrebbe vivere altrove.
Tamar Branitzky
Laureata nel 2009 al prestigioso Shenkar College di Ramat Gan, Tamar Branitzky lavora oggi nel suo studio di Tel Aviv esplorando materiali e superfici di ogni tipo. Seta, cotone, lino, carta, cuoio e pelle vengono trattati con una serie di processi chimici che li rendono pezzi unici ed irripetibili. Il suo cavallo di battaglia sono delle meravigliose sciarpe coloratissime, dai disegni geometrici, naturalistici, che richiamano alla mente elementi pop ibridati con le avanguardie storiche o l’Art Nouveau, un incrocio tra un quadro di Klimt e di Andy Warhol, ma in salsa israeliana. «Credo che gli stilisti israeliani abbiano un linguaggio visuale unico e inimitabile. Lavoriamo tutti in un piccolo Paese che ogni giorno ci mette davanti a nuove sfide: l’alta tassazione sulla produzione, un flusso limitato di clienti e una folle percezione di guerra perenne che influenzano la nostra sensibilità e la sensazione di sicurezza personale. Per questi motivi, tutti noi lottiamo per mantenere, almeno nella moda, un clima divertente e disteso. Credo infatti che la caratteristica principale di tutti i designer israeliani sia un accanimento creativo e una motivazione inventiva e innovativa senza fine. Abbiamo un paese bellissimo che ci regala ogni giorno ispirazioni diverse per le nostre creazioni, a partire dal deserto giallo e dalla foresta verde. Mi piace viaggiare all’interno di Israele e raccogliere ricordi che lascino una forte impronta sul presente: foglie, fiori, pietre che unisco nei miei collage che utilizzo poi per le mie stampe. Mi capita spesso di fotografare cime degli alberi, il cielo e la spiaggia dove corro ogni giorno. Il paesaggio di Israele è un’ispirazione senza fine per le mie sciarpe, stampe e disegni per tessuti d’interni. Anche vivere le problematiche di Israele può essere una grande fonte d’ispirazione. Durante la guerra di Gaza del 2014, ad esempio, ho creato la collezione di foulard “Textile Texture”. È stato un periodo in cui, non potendo viaggiare, ho iniziato a lasciarmi ispirare dalla bellezza che avevo attorno a me. I jeans, il velluto e il pizzo sono diventati il mio paesaggio. Ho combinato il tutto con i miei disegni a pennarello e a matita per aggiungere un po’ di umorismo alle mie sciarpe che sono state create tra le bombe e nei momenti di intervallo tra le frequentissime corse ai rifugi».
Brand MeDusa
Borse, zaini, portafogli e clutch dai colori forti, che lasciano il segno. La storia del brand MeDusa nasce nel 2009 dalla passione di due amiche designer, Gili Rozin Tamam e Adi Gal, che hanno cercato il modo per portare tessuti e materiali innovativi nell’industria degli accessori moda. E pare ci siano riuscite, almeno a giudicare dal successo. All’interno del loro sito (www.me-dusa.com), innumerevoli sono le immagini di star che indossano le creazioni MeDusa; l’ultima della lista? Jennifer Lopez, durante le audizioni di American Idol. La plastica industriale lavorata e quasi scolpita viene usata in ogni modello ed è il loro tratto distintivo. Gli accessori, quasi indistruttibili, sono un misto di forme vintage e texture moderna, rigorosamente cruelty-free ed eco-friendly. «Il tratto comune dei creativi israeliani è forse la magia che riusciamo a creare nel mix and match. In Israele le persone amano sentirsi comode: questa è l’unica connessione tra i diversi stili che si possono trovare passeggiando tra le strade di Tel Aviv. «È incredibile come, a seconda della zona della città in cui ci si trova, ma addirittura da una panchina all’altra, si possa trovare una differenza di stile che spazia dal “completamente fuori moda” alla somma eleganza di outfit molto chic! – ci racconta Gili Rozin -. Il mondo della moda in Israele è appena nato e negli ultimi cinque anni ci sono stati moltissimi cambiamenti. Questo ci regala una visione molto giovane dello stile, una particolare sensibilità in fatto di tendenze moda e un certo sperimentalismo o spirito di ricerca; e questo è meraviglioso. Penso che il Medio Oriente sia un’area di mondo molto complicata. Questo porta noi designer a pensare in maniera differente, out of the box, obbligandoci a cercare nuovi materiali e metodi di lavorazione. Tutto ciò ci spinge a essere più creativi rispetto ai designers del resto del mondo che hanno la possibilità di avere facilmente, fin dai primi passi, i materiali e produzione già impostata. La ricerca di uno stile differente, la battaglia per una produzione congrua con il nostro pensiero, spingono molti di noi a cercare soluzioni non convenzionali». Le due giovani designer di MeDusa, insieme alle loro creazioni, sono presenti alla Fiera dell’Artigianato a Rho Fiera, Milano, nello stand di Israele, dal 5 al 13 dicembre.
Danit Peleg
I suoi modelli sono un prodigio di inventiva tecnologica applicata alla moda. Aprendo il suo sito (www.danitpeleg.com) sembra di entrare in un universo parallelo, futuristico-spaziale. Danit Peleg, 27 anni, laureata allo Shenkar College of Engineering and Design di Ramat Gan, crea vestiti interamente realizzati con l’utilizzo di stampanti 3D.
Per ogni outfit, racconta la stilista, ci sono volute come minino 400 ore di stampa. «Credo che la tecnologia possa aiutare la democratizzazione della moda e possa dare ai designers più indipendenza all’interno del processo creativo».
Korin Avraham
Era il settembre 2011 quando Korin, una ragazza di Tel Aviv, decise di trasformare un hobby in una professione: aprì un blog, lo chiamò Ya Salam, e iniziò a lavorare con la determinazione che contraddistingue, nella blogosfera, quelle che ce la fanno. Insomma, una Chiara Ferragni d’Israele. A quattro anni di distanza, Korin è stata definita la blogger numero uno di Israele dal Calcalist, un giornale di economia del gruppo Yediot Aharonot, ed è stata selezionata come una delle 5 instagrammers più influenti di Tel Aviv. «Ci sono molti stilisti talentuosi qui in Israele e ognuno di loro porta il suo mondo personale all’interno del proprio lavoro. Credo che vivere in una realtà come Israele ti renda più ambizioso: non essere mai sicuro di ciò che ti riserva il domani ti costringe a vivere ogni giorno in maniera più intensa. Oltretutto, molti stilisti sono nati fuori da Tel Aviv, hanno vissuto in piccole città, con paesaggi diversi come il deserto del Neghev, il verde della Galilea o le pietre rosa di Gerusalemme. E oggi che quasi tutti si sono trasferiti a Tel Aviv, vivono la tensione positiva che intercorre tra lo stile tradizionale più diffuso fuori da Tel Aviv e lo stile più occidentale e moderno della city of lights».
Radici, famiglia, cultura, odori: questo è Israele per Korin Avraham. «Fede e ambizione, la volontà di costruire un paese luminoso e al tempo stesso di sopravvivere: sono queste le mie linee guida. Nel mio blog mi capita di leggere commenti sul fatto che le mie foto esprimano vita e passione: è l’ispirazione che mi dà Israele». Essere una blogger in Israele non è semplice, dice Korin: «Il mercato è piccolo e molti commercianti non vogliono condividere il loro marketing con quello israeliano. Anche la politica gioca la sua parte. L’anno scorso mi sono impegnata nella campagna contro il terrore da parte di Hamas e l’occupazione di Gaza. Ho perso molti followers, ma sono rimasta fedele alle mie idee».
«Quando partecipo ad eventi internazionali, fashion weeks o Festival del Cinema a Venezia o Cannes, mi vesto interamente con abiti e accessori made in Israel – aggiunge -. Adoro quello che fanno gli stilisti israeliani e ricevo sempre apprezzamenti. Mi impegno nel mettere in contatto i buyers internazionali con i designer israeliani: questo per me è più che un semplice lavoro, è quasi un dovere morale».
Ella Manor, eclettica, sofisticata, glam
Artista, fotografa di moda per i grandi magazine internazionali, è tra i nomi emergenti della scena creativa israeliana
È uno dei grandi nomi emergenti della fotografia di moda. Artista concettuale super premiata, con mostre in Israele e nel mondo, servizi di moda e lifestyle per le più importanti riviste del mondo (da Harper’s Bazaar a W…), quella di Ella Manor è una creatività a 360 gradi. Soprannominata la Lady Gaga della fotografia contemporanea per la versatilità e il trasformismo dello stile, studi al prestigioso Fashion Institute of Technology and the International Center of Photography di New York, il suo amore per la ricerca visiva le ha regalato una pioggia di premi internazionali.
«C’è un elemento peculiare nel processo creativo dei designers e artisti israeliani: l’eclettismo. Lo stato d’Israele ha una storia relativamente breve, inizia nel 1948. Gli israeliani avevano (e hanno ancora) radici e antenati in ogni angolo del pianeta. Da qui il nostro eclettismo visivo e concettuale, nei concept artistici e nell’uso dei materiali. Israele è una terra che mi ispira profondamente: qui sento le mie radici. C’è un’energia speciale; certo, si respirano i problemi quotidiani legati alle questioni politiche, lo stress generato dall’elevato costo della vita (soprattutto a Tel Aviv, dove oggi vivo), la tensione tra ebrei haredim, ortodossi, e chilonìm, i laici. Israele è un paese piccolo, sacro per persone di ogni parte del mondo e di diverse culture. Proprio per questo, quando lavoro qui, ho più stimoli e complessità da risolvere, sia dentro che fuori di me. Ho vissuto dieci anni a New York: lì è stato più semplice inventare e creare, ero indubbiamente più serena.
Di Israele amo la molteplicità di risorse naturali, pur essendo un paese piccolo: foreste, deserti, il Mar Morto, spiagge… tutto questo, oltre a una realtà urbana multiculturale e poliedrica è una continua fonte di ispirazione. Il mio lavoro non è di natura politica, io cerco di trovare la bellezza e l’armonia anche nei contrasti e negli aspetti più dolorosi della vita. Una delle mie installazioni, “Ultra”, è situata nell’azienda agricola del Park Hayarkon, nel cuore di Tel Aviv. “Ultra” è un impianto di verniciatura scultorea che fa parte del programma di esposizione per Hamidrasha Beit Berl. Ho versato il materiale direttamente sul terreno e intorno all’albero in un modo simile all’action painting. Il risultato finale è spettacolare: quando viene illuminato da una luce nera nel giorno o durante la notte, brilla nel buio».