di Vanessa Tomassini
“La natura ebraica della Tunisia un giorno tornerà, ne sono certo. La Tunisia deve tornare ad essere una repubblica laica e dove tutti, arabi, ebrei, cristiani e musulmani possano convivere in pace. Più rifiuti la natura, e più essa tornerà con forza. Questo è un dato storico. L’attuale governo ha rinnegato di essere un Paese mediterraneo, per la presenza di Israele sulle stesse sponde, rinnegando le stesse acque che bagnano la Tunisia. La prego mi saluti tutti i tunisini del mondo, la diaspora tunisina che ha sofferto e sta piangendo, come stiamo piangendo anche noi in Tunisia. Che siano essi in Italia, in Israele, in Francia o negli Stati Uniti, o in qualsiasi parte del mondo, dica loro di non dimenticare la Tunisia”.
Conclude così, con gli occhi lucidi, la nostra intervista, Souheil Bayoudh, che parla benissimo italiano. È un ex operatore del turismo che, dopo i disordini della cosiddetta primavera araba e dopo l’attentato terroristico al Museo Nazionale del Bardo di Tunisi il 18 marzo 2015, ha perso tutto. Ma Bayoudh è anche una “voce fuori dal coro” nel suo Paese, un attivista per i diritti civili e regista di documentari “scomodi”, come quello sui musulmani che si convertono al cristianesimo (intitolato Open the church). Non nuovo ad argomenti delicati per la società tunisina, come la tortura, il consumo della cannabis, il tema dell’emigrazione irregolare, con Open the church Bayoudh affronta un tema davvero tabù nel suo Paese, quello della libertà religiosa in Tunisia, documentando in trenta minuti testimonianze toccanti di tunisini musulmani convertiti al cristianesimo. La Costituzione tunisina del 2014 garantisce “libertà di religione e di coscienza” ma consacra lo Stato come “garante e custode della religione”. Il documentario attraverserà l’Europa e gli Stati Uniti nei festival e nei cineforum. È il primo – spiega il regista – di una serie sul tema del pluralismo religioso; per il suo prossimo lavoro annuncia un docu-film “sulla persecuzione degli ebrei in Tunisia, sulla loro storia e sul rapporto con i musulmani”.
Souheil Bayoudh si definisce un pensatore, “uno dei tunisini dell’ultimo treno”, che nulla ha a che vedere con l’ultima generazione tunisina sempre più chiusa e poco informata. Racconta di essere stato invitato da un emittente radio nazionale. Il suo intervento sarebbe dovuto essere di un’ora, ma dopo 10 minuti è stato censurato, perché la conduttrice non avrebbe voluto sentir parlare di Stato d’Israele, invitandolo a definirlo ‘entità sionista’. C’è da dire che quello a cui Souheil fa riferimento è vero: nel 2014 alcune forze politiche tunisine avrebbero voluto inserire una norma, un articolo che punisse la normalizzazione dei rapporti con lo stato di Israele, definito in modo dispregiativo entità sionista per non riconoscerne l’esistenza. Anche per quanto riguarda la Costituzione approvata il 26 gennaio 2014, il fatto che non si faccia riferimento alla civiltà mediterranea è stato un modo di aggirare il problema. Affermare che la Tunisia è un Paese mediterraneo, avrebbe voluto dire riconoscere Israele come parte dello stesso bacino, perciò è stato scelto di far riferimento esclusivamente al mondo arabo-musulmano. Tuttavia il clima di tensione non impedisce lo svilupparsi di rapporti commerciali tra i due Paesi; ad esempio, in Israele è possibile acquistare nei supermercati pasta, conserve di pomodoro e altri prodotti provenienti dalla Tunisia.
I rapporti tra i due Paesi
Boyoudh ci ha detto “Come può una Repubblica intrattenere dei rapporti diplomatici con Israele, tenendo all’oscuro i suoi cittadini? E come può interromperli di colpo senza comunicare nulla e senza un apparente motivo? Questo non è il comportamento adatto a una Repubblica.” I canali diplomatici tra i due Paesi erano stati aperti in segreto nel 1994, attraverso le ambasciate belghe a Tel Aviv e Tunisi. Il ministro degli Esteri tunisino Habib Ben Yahia e il ministro degli Esteri israeliano Ehud Barak si erano poi incontrati a Barcellona nel 1995, per rendere le relazioni ufficiali ed espanderle anche ad altri Paesi. Il 22 gennaio 1996, il Segretario di Stato degli Stati Uniti Warren Christopher ha annunciato che “per la prima volta Israele e Tunisia istituiranno strutture ufficiali denominate ‘sezioni di interessi’”. Secondo il piano, Israele ha aperto un ufficio d’interesse in Tunisia nell’aprile 1996 e sei settimane dopo, a maggio il diplomatico tunisino Khemaies Jhinaoui è andato a Tel Aviv per aprire l’ufficio di interesse del suo Paese. Le relazioni sono peggiorate nei primi anni 2000 dopo l’inizio della Seconda Intifada, quando il 22 ottobre 2000, il presidente Ben Ali ha annunciato di rompere tutti i rapporti diplomatici con Israele a seguito della “violenza nei territori controllati dai palestinesi”. E da allora Tunisi e Gerusalemme non hanno avuto più alcun contatto.
La diaspora degli ebrei tunisini
“Perdendo in suoi ebrei la Tunisia ha perso l’anima”, ne è convito Souheil Boyoudh. Sono migliaia, infatti, gli ebrei tunisini che hanno lasciato il Paese. Secondo la Berman Jewish Databank (http://www.jewishdatabank.org), banca-dati ebraica nordamericana, la popolazione ebraica in Tunisia è quasi scomparsa. Dei 105.000 tunisini (e no) di fede ebraica che abitavano il Paese nel 1948, ne sono rimasti circa 900. La Tunisia è stato l’unico paese arabo a cadere sotto l’occupazione diretta tedesca durante la seconda guerra mondiale. Tra la fine del 1942 e maggio del 1943, i tedeschi con la collaborazione delle autorità locali diedero vita a campi di lavoro forzato, confische di proprietà private, ostaggi, estorsioni di massa, deportazioni ed esecuzioni. Con la creazione di speciali comitati di ‘Judenrat’ obbligarono i leader ebrei a rispettare politiche naziste sotto minaccia di prigionia o di morte. In seguito al raggiungimento dell’indipendenza tunisina nel 1956, il Governo di Tunisi emanò una serie di decreti legge anti-ebrei, che hanno portato nel 1958 all’abolizione del Consiglio comunitario ebraico della Tunisia e alla distruzione di antiche sinagoghe, cimiteri e quartieri ebraici con la falsa giustificazione di un ‘rinnovamento urbano’. Già in quegli anni, più di 40.000 ebrei tunisini lasciarono il Paese, per raggiungere Israele. Nel 1967 la popolazione ebraica in Tunisia si era ridotta drasticamente a circa 20.000 persone. Durante la guerra dei Sei Giorni tra Israele e Palestina, gli ebrei tunisini furono attaccati da gruppi arabi filopalestinesi che incendiarono sinagoghe e negozi. Il governo denunciò le violenze e il presidente, Habib Bourguiba, si scusò con il capo rabbino, invitando la popolazione ebraica a rimanere, ma senza fare nulla che impedisse loro di partire. Negli anni successivi, nel clima di pericolo e instabilità, altri 7.000 ebrei immigrarono in Francia. Nel 1982 furono attaccati gli ebrei nelle città di Zarzis e di Ben Guardane. Tre anni dopo, una guardia tunisina sparò su una folla di fedeli in una sinagoga a Djerba, uccidendo cinque persone, di cui quattro ebrei.
Gli attentati terroristici e l’antisemitismo
L’11 aprile 2002, un camion che stava trasportando gas naturale è stato fatto esplodere di fronte alla sinagoga Ghriba sull’isola turistica di Djerba. In un primo momento, funzionari del Governo di Tunisi avevano dichiarato che si trattava di un incidente, ma un gruppo legato alla rete di al-Qaeda, facente capo ad Osama bin Laden, aveva rivendicato l’attentato come “il primo attacco terroristico alla più antica sinagoga in Africa”. L’esplosione uccise 17 persone, tra cui 11 turisti tedeschi.
Dopo gli scontri della primavera tunisina che hanno dato vita alla nuova Repubblica, il clima politico in Tunisia è ostile ai residenti ebrei, con attacchi antisemiti e vandalismi in aumento negli ultimi anni; in questo quadro si colloca l’attacco, nel maggio 2014, alla sinagoga di Beith El che è stata violentemente vandalizzata, senza considerare le numerose profanazioni di cimiteri ebraici. Un episodio eclatante è avvenuto l’11 marzo 2014, quando una nave norvegese da crociera fece tappa nel porto di Tunisi; il governo tunisino proibì ai passeggeri israeliani a bordo di sbarcare, accettando invece tutti gli altri. La Norwegian Cruise Lines, fortemente in imbarazzo, ha annullato tutte le future fermate nel porto tunisino modificando tutti i suoi itinerari.
Per tutto questo, quasi tutte le attività ebraiche hanno chiuso, lasciando il Paese; l’ultimo ristorante casher nella capitale tunisina ha chiuso nel novembre del 2015, dopo aver ricevuto minacce terroristiche. Souheil Bayhoudh, sogna un giorno di andare in Israele, perché anche lui come gli ebrei che hanno abbandonato il Paese, non si sente sicuro, né rappresentato dalle istituzioni del suo Paese, che definisce una “Repubblica fasulla”. Vorrebbe che tutti i tunisini ebrei potessero far ritorno, secondo la propria volontà, in Tunisia. Molti di essi, infatti, non avendo il doppio passaporto, con un visto di Israele non sono accettati dalle autorità, anche se di fatto sono al 100% tunisini.
Forse c’è ancora una speranza?
A luglio del 2016 la Tunisia, seppur all’interno dell’Ambasciata italiana, è stata il primo Paese ad accettare la creazione di un Giardino dei Giusti nel mondo arabo; nel giardino ci sono cinque alberi dedicati a cinque Giusti arabi e musulmani del passato e del nostro tempo, che a rischio della vita hanno lottato contro la persecuzione, il terrorismo e per la difesa dei diritti umani. Tra questi anche il nome di un cittadino arabo che ha aiutato gli ebrei durante la Shoah.