di Nathan Greppi
Quando, lo scorso dicembre, ha celebrato il suo Bar Mitzvah a Cesarea, il giovane Elchanan Kuchar ha deciso di usare parte dei soldi regalatigli per una nobile causa: contribuire alla raccolta fondi per ultimare la costruzione della Jonathan Netanyahu Memorial School, che dal 2013 è il nucleo della piccola comunità ebraica del villaggio di Putti, in Uganda.
Questa storia, riportata da Ynetnews, parte da lontano: nella famiglia Kuchar, che ha fatto l’aliyah in Israele dall’Australia nel 2016, lo zio di Elchanan è da anni coinvolto in attività di sostegno alle piccole comunità ebraiche in Africa. Tramite lui, il giovane ha deciso di donare i soldi del Bar Mitzvah per contribuire a far costruire nuovi locali nella piccola scuola elementare che accoglie i bambini della comunità Abayudaya, ugandesi convertitisi all’ebraismo che da tempo lottano per essere pienamente riconosciuti.
Ad oggi, le condizioni degli Abayudaya sono talmente precarie che spesso nel loro centro mancano l’elettricità e l’acqua pulita. Per questo, è tuttora in corso una campagna di crownfunding per sostenerli racimolando i soldi necessari per la costruzione del centro (chi fosse interessato a donare, può cliccare qui). La campagna durerà fino al 30 settembre, e su un obiettivo di 42.000 shekel (circa 10.000 euro), nel momento in cui scriviamo ne sono stati donati 2.860 shekel (circa 694 euro).
Gli ebrei in Uganda
La nascita dell’ebraismo ugandese viene fatta risalire agli anni ’10 del ‘900, quando Semei Kakungulu, in origine un governatore locale quando l’Uganda era una colonia inglese, si mise a studiare la Bibbia; colpito dalle tradizioni ebraiche, abbandonò il cristianesimo a cui era stato convertito dai missionari protestanti per abbracciare l’ebraismo. Dopo aver raccolto intorno a sé i primi seguaci, nel 1926 Kakungulu incontrò a Kampala (oggi capitale dell’Uganda) un mercanto ebreo di nome Yosef, convincendolo a visitare il nucleo della nascente comunità. Dopo essere rimasto per oltre tre mesi ad insegnare loro i precetti della Halakhah, prima di congedarsi Yosef donò loro diversi volumi della Torah, libri di preghiere, calendari ebraici e altri strumenti utili per preservare la vita ebraica.
Oggi la loro popolazione ammonta a circa 4.000 persone, suddivise in otto villaggi dell’Uganda orientale, tra cui Putti, dove vivono 250 ebrei. Nel corso del ‘900 arrivarono a 7.000, ma negli anni ’70, sotto la dittatura di Idi Amin, furono oggetto di persecuzioni e a volte costretti a convertirsi. Questo perché praticare la religione ebraica era vietato per legge, costringendoli a praticarla in segreto come i marrani ai tempi dell’Inquisizione spagnola, e a coloro che venivano scoperti venivano confiscate le proprietà. Solo a partire dagli anni ’80, dopo la caduta del regime, la vita ebraica nel paese poté rifiorire.
Nel 2013 fondarono una scuola ebraica, la Jonathan Netanyahu Memorial School, dedicata al comandante israeliano (e fratello del premier israeliano) che cadde durante l’Operazione Entebbe del 1976 per salvare gli ostaggi dei terroristi del FPLP. Nonostante negli anni abbiano ricevuto un certo sostegno soprattutto da parte di donatori stranieri, spesso si trovano a corto di rifornimenti per la scuola, acqua ed elettricità, che ricavano soprattutto dall’energia solare. Necessitano dell’acqua sia per consumo personale che per i campi, essendo perlopiù agricoltori.
In tutto il paese, gli Abayudaya si suddividono in due gruppi: da un lato il gruppo maggioritario, convertitosi in massa all’ebraismo conservative americano circa 25 anni fa; dall’altro lato un secondo gruppo, di cui fanno parte anche gli ebrei di Putti, che si chiama Sheerit Yisrael (“I resti d’Israele”), che vorrebbe abbracciare l’ebraismo ortodosso ed è ancora in attesa dell’approvazione del Rabbinato d’Israele. Quest’ultimo, tuttavia, non li ha mai riconosciuti come ebrei, e anche la burocrazia israeliana ha spesso respinto le richieste di quelli che volevano fare l’aliyah.
(Foto: Ynetnews)