di Francesco Paolo La Bionda
Gli Accordi di Abramo, siglati il 15 settembre 2020, hanno segnato una svolta storica nei rapporti tra il mondo ebraico e il mondo arabo. La normalizzazione delle relazioni tra Israele da una parte ed Emirati Arabi Uniti e Bahrein dall’altra ha reso possibile un aumento della presenza ebraica nel Golfo Persico per la prima volta in epoca contemporanea. L’afflusso di turisti e professionisti di fede mosaica e la crescita delle comunità locali comportano tuttavia un aumento delle esigenze religiose, educative e sociali da soddisfare.
Per fornire una risposta a queste necessità a febbraio 2021 è stata quindi fondata l’Associazione delle Comunità Ebraiche del Golfo, in inglese Association of Gulf Jewish Communities (AGJC). Si tratta di un’organizzazione ombrello che raggruppa le comunità ebraiche in riferimento ai sei paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo: Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar.
Il Presidente è Ebrahim Dawood Nonoo, imprenditore cittadino e nativo del Bahrein. Lo abbiamo intervistato per approfondire il ruolo e le attività dell’Associazione e scoprire la rinascita e lo sviluppo della vita ebraica nel Golfo.
Come è stata formata l’Associazione e quali sono il suo scopo e i suoi principali obiettivi?
A seguito degli Accordi di Abramo, è emersa la necessità di garantire i servizi necessari per la vita ebraica nel Golfo, a partire dall’approvvigionamento di alimenti kasher. Le comunità locali necessitavano inoltre di un sostegno per avere la disponibilità dei rabbini per il Beth Din negli eventi che lo richiedono. Poiché la comunità ebraica negli Emirati è la più numerosa, ci è sembrato sensato che i loro rabbini si mettessero a disposizione dell’Associazione. Il fatto invece che gli ebrei bahreiniti siano più storicamente radicati tra le comunità del Golfo ci ha resi i più adatti per aiutare le altre comunità, sia per la maggior conoscenza della cultura araba sia per la disponibilità di una sinagoga.
La sinagoga di Manama
La capitale del Bahrein ospita l’unica sinagoga storica del Golfo sopravvissuta fino a oggi. Il piccolo edificio di culto e il cimitero annesso furono costruiti per gli ebrei iracheni immigrati sull’isola negli ultimi anni dell’Ottocento, sotto la dominazione britannica. La sinagoga fu danneggiata nel 1947 durante un pogrom e cadde poi in disuso. Restaurata da Nonoo nel 2006, ha ripreso a ospitare funzioni regolari nel 2020 a seguito della firma degli Accordi di Abramo.
Quali saranno i vostri prossimi passi?
Continueremo a favorire lo sviluppo delle relazioni tra i paesi del Golfo e a supportare tutti gli ebrei nella regione. Lavoreremo anche per incoraggiare dei buoni rapporti tra i visitatori israeliani e le comunità locali. L’Associazione non è un’organizzazione politica, ma una comunità di comunità. Siamo qui per aiutare qualunque ebreo che si trovi nel Golfo a soddisfare le proprie esigenze religiose. Pensiamo che qualunque visitatore debba avere l’opportunità per potersi integrare e conoscere la cultura della comunità locale e potremo quindi avere un ruolo come consulenti per le attività culturali.
Qual è l’attuale composizione delle comunità ebraiche nel Golfo, in termini numerici e culturali?
Dalle nostre stime la comunità emiratina conta circa mille persone mentre in Bahrein siamo circa un centinaio. Nel Golfo ci sono altre piccole comunità di residenti ebrei, che sono però tutti espatriati.
L’integrazione tra gli ebrei nativi e quelli espatriati è stata facile o ci sono state difficoltà legate alle differenze culturali?
In Bahrein è facile, tutti gli ebrei sono autoctoni. Negli Emirati il processo è stato più complesso ma ci sembra comunque che gli espatriati, nonostante provengano da molti paesi diversi, si stiano integrando bene nella comunità locale. C’è una grande solidarietà reciproca, anche nel facilitare le interazioni con le autorità emiratine.
Com’è cambiata la vita ebraica dopo gli Accordi di Abramo?
C’è stato un grande cambiamento, più pronunciato negli Emirati. La vita ebraica è diventata più attiva. Arrivano in visita molti rabbini da Israele, dagli Stati Uniti e da altri paesi mediorientali, che forniscono educazione religiosa e celebrano le funzioni religiose per la comunità locale. Ad Abu Dhabi stanno costruendo una nuova sinagoga e presto ne sorgerà una anche a Dubai, e ritengo che ne seguiranno altre. Qui in Bahrain abbiamo la nostra sinagoga e abbiamo ripreso ad aprirla regolarmente per le preghiere mattutine del sabato. È una grande ripartenza, se pensiamo che era stata utilizzata l’ultima volta nel 1948 prima di cadere in disuso.
Quali aspetti della vita religiosa ebraica sono diventati più facili da mettere in pratica e quali sono ancora complicati?
Abbiamo ricominciato a ospitare le funzioni religiose nella nostra sinagoga e questo rende la vita religiosa molto più agevole, in particolare per le nuove generazioni. I giovani infatti tendono a studiare all’estero e a rimanerci, dato che qui non possono trovare un marito o una moglie a causa delle ridotte dimensioni delle comunità. Ma con l’afflusso di ebrei dall’estero qui nel paese, grazie anche alla presenza della sinagoga, sarà più facile rimediare a questo problema. Potremo così far crescere la comunità e questo ci permetterà di svolgere le nostre funzioni religiose con maggiore correttezza, dato che si svolgeranno in sinagoga invece che a casa. E impareremo meglio l’ebraico.
Ritiene che le comunità in Bahrein e negli Emirati cresceranno nei prossimi anni? E crede potranno formarsene di nuove nei paesi dove non sono presenti?
Sì credo che le comunità cresceranno in virtù delle nuove opportunità lavorative che emergeranno nel Golfo. Le prospettive sono buone, anche per le famiglie: negli Emirati si sta già provvedendo a istituire una scuola ebraica. E mi aspetto che in Bahrein ci sarà anche un rientro di coloro che sono andati all’estero. Quanto agli altri paesi, non saprei ancora dire. Ci sono già comunità di soli espatriati, se cresceranno dipenderà molto anche da quanto i paesi ospitanti vorranno aprirsi al mondo ebraico.
Dopo la firma degli Accordi, è aumentata la curiosità da parte della popolazione araba verso le rispettive comunità ebraiche?
Per moltissimi anni la popolazione araba ha ricevuto solo informazioni negative riguardo agli ebrei. Oggi invece si rendono conto che vogliono visitare e lavorare nei loro paesi e integrarsi nella società locale. I bahreiniti poi sono ben consci di chi siano davvero gli ebrei, perché hanno vissuto insieme a loro per moltissimi anni e non nutrono quindi alcun sentimento negativo. Quindi in Bahrein anche i visitatori israeliani sono già assai ben accetti, mentre negli Emirati credo servirà ancora uno sforzo educativo, a partire dalle scuole, per diffondere una visione corretta degli ebrei e degli israeliani. Sono convinto che così facendo si otterranno ottimi sforzi nell’integrazione. Oggi l’impulso primario nelle interazioni si concentra soprattutto sul lato economico, e penso che se i rapporti commerciali prospereranno questo si rifletterà in positivo anche sull’opinione delle comunità locali.
Il pogrom del 1947
Il 5 dicembre 1947 a Manama si scatenò un pogrom fomentato dall’ostilità verso il nascente stato d’Israele. Gli ebrei furono aggrediti, le loro case e i loro negozi devastati e la sinagoga danneggiata. Un’anziana fu assassinata. La maggior parte della comunità fuggi all’estero, seguita poi dalla quasi totalità dei rimanenti nel 1967. Houda Nonoo, nipote di Ebrahim e Ambasciatrice del Bahrein negli Stati Uniti dal 2008 al 2013, in un’intervista rilasciata al The Independent attribuì però la responsabilità delle violenze agli espatriati arabi, ricordando come i locali avessero invece dato asilo agli ebrei nelle proprie case.
L’afflusso di turisti e imprenditori israeliani a seguito degli Accordi ha creato nuove opportunità economiche per la comunità ebraiche del Golfo?
Sì, sono emerse molte opportunità economiche, in particolare nel campo dell’agricoltura idroponica e nel settore del fotovoltaico. Ci sono molte tecnologie che sono d’interesse per i paesi del Golfo e gli investimenti si stanno già muovendo. Ci sono inoltre le opportunità legate all’importazione di cibi kasher, come la matzah.
Come la pandemia da Covid-19 ha colpito il Golfo e le sue comunità ebraiche?
L’impatto è stato duro, ma almeno qui in Bahrein il governo ha fatto un ottimo lavoro nel contenere i contagi. Nonostante le restrizioni nei viaggi, continua ad esserci comunque un flusso importante di visitatori ebrei nel paese.