Un’asta senza precedenti. La vendita record della Collezione Horten e il controverso patrimonio multimiliardario legato al nazismo

Personaggi e Storie

di Marina Gersony
Si dice che dietro ogni grande fortuna si nasconda un grande crimine. La domanda che sorge spontanea è se dietro la straordinaria collezione multimiliardaria Horten, messa all’asta da Christie’s le scorse settimane, si celasse effettivamente un crimine.

Nonostante le preoccupazioni sollevate da esperti e organizzazioni ebraiche riguardo al passato nazista dell’imprenditore e collezionista d’arte e gioielli Helmut Horten, Christie’s ha scelto di procedere comunque con la vendita dei gioielli, assicurando che una percentuale dei proventi sarebbe stata destinata a progetti di ricerca sull’Olocausto. L’asta si è svolta durante la Luxury Week a Ginevra, con vendite dal vivo e online suddivise in più eventi, e si è conclusa il 15 maggio scorso, aprendo la prospettiva di ulteriori vendite a novembre.

Con The World of Heidi Horten: una collezione di gioielli senza pari, Christie’s ha messo di fatto all’asta una delle più incredibili collezioni private di gioielli di tutti i tempi. La collezione, composta da 700 pezzi provenienti dalla prestigiosa raccolta della mecenate austriaca Heidi Horten (1941-2022), vedova di Helmut Horten, ha raggiunto l’incredibile cifra di 202 milioni di dollari, superando di gran lunga la previsione di 150 milioni. Questo risultato sorprendente ha superato il precedente primato stabilito nel 2011, quando i gioielli appartenuti all’attrice Liz Taylor furono venduti per 116 milioni di dollari.

Il mondo ebraico insorge

 

Riguardo alle preoccupazioni sull’origine dei gioielli, nel gennaio 2002, un rapporto commissionato dalla Fondazione Heidi Horten ha confermato che il marito di Heidi, Helmut Horten – un imprenditore tedesco che aveva fondato e posseduto la quarta più grande catena di grandi magazzini in Germania, la Horten AG – era stato effettivamente membro del partito nazista. L’uomo aveva accumulato una fortuna ingente grazie all’acquisto di aziende ebraiche e negozi a prezzi ridotti, costringendo gli ebrei perseguitati a venderle con la forza; una fortuna che lo portò ad avere il monopolio del mercato alimentare tedesco durante la Seconda guerra mondiale.

A proposito, un articolo del New York Times riporta le parole indignate che Yoram Dvash, presidente della World Federation of Diamond Bourses, ha scritto  in una recente lettera a François Curiel, presidente della casa d’aste Europa e Asia: «In un’epoca di negazione dell’Olocausto e di recrudescenza dell’antisemitismo in tutto il mondo, troviamo particolarmente spaventoso che una casa d’aste di fama mondiale si impegni in una tale vendita». Non solo. Sempre come riporta il quotidiano americano, due avvocati hanno scritto a Christie’s la scorsa settimana esprimendo la preoccupazione che la vendita possa aver violato i diritti di restituzione degli eredi delle vittime dell’Olocausto. Uno di loro, Steven Lieberman di Washington, ha affermato di rappresentare un erede di un’azienda acquisita da Helmut Horten. A sua volta, il secondo avvocato, Nitsana Darshan-Leitner, che guida un centro legale israeliano chiamato Shurat HaDin, ha detto alla casa d’aste che «qualsiasi potenziale acquirente di questi articoli dovrebbe essere avvisato del collegamento degli Horten con la coercizione e il furto di proprietà ebraiche durante l’Olocausto».

Nonostante le numerose rimostranze sollevate dai legali e dalle organizzazioni ebraiche che avevano chiesto a Christie’s di sospendere l’asta («Sono denari sporchi»; «Chiunque acquisti uno di questi gioielli è complice di un crimine»), la casa d’aste ha  ribadito che nessuno dei 700 gioielli in vendita è stato acquistato o confiscato da ebrei durante l’era dell’Olocausto, difendendo a spada tratta gli obiettivi filantropici della Fondazione Horten, considerandoli al di sopra di qualsiasi dubbio riguardo all’origine dei gioielli. Inoltre, si è impegnata a destinare una parte dei profitti a iniziative di ricerca e istruzione sull’Olocausto, per dimostrare attenzione verso una questione che rimane tuttavia altamente controversa.

 

La collezione ha presentato capolavori di rinomati designer del XX secolo, tra cui Bulgari, Cartier, Harry Winston e Van Cleef & Arpels e una selezione di design vintage e moderni, nonché una rilevante scelta di perle, pezzi di giadeite e creazioni Bulgari degli anni ‘70, ‘80 e ‘90. Tra i pezzi più prestigiosi il museale Briolette of India, un collier con un diamante taglio a goccia da 90,38 carati del 1909 e il Great Mughal, una collana con uno smeraldo indiano intagliato da oltre 340 carati, entrambi di Harry Winston. L’evento ha offerto di fatto agli appassionati di gioielli un’opportunità unica di possedere pezzi di valore inestimabile. «Heidi era una collezionista sensibile e appassionata – ha dichiarato Max Fawcett, responsabile della gioielleria di Christie’s a Ginevra –. Aveva un occhio acuto e ha curato una collezione sofisticata con alcuni dei gioielli più belli mai arrivati sul mercato». Un esempio fra tutti quando nel 2018, sempre a Ginevra, erano andati all’asta alcuni gioielli di Maria Antonietta e il lotto più prezioso, un pendente composto da un’enorme perla barocca e diamanti, se l’era aggiudicato un misterioso cliente per la cifra record di 36,2 milioni di dollari. Finché non trapelò il nome della signora Horten…

Chi era Heidi Horten

Nata nel 1941 a Vienna, Heidi Horten (nata Jelinek) è cresciuta circondata dall’arte. Da giovane, trascorreva le serate sul ghiaccio o al pianoforte, mentre i weekend esplorava musei come il Kunsthistoriches Museum e la Galleria austriaca al Palazzo del Belvedere. Su padre, oltre ad essere un incisore, era un abile artista che dipingeva paesaggi e ritratti della figlia. Alcuni di questi dipinti fanno ora parte della collezione di Heidi Horten. Nel 1958, durante una vacanza con i genitori, la diciannovenne Heidi incontrò Helmut Horten, suo futuro marito di 32 anni più vecchio. Fu un colpo di fulmine. Dopo essersi sposati nel 1966, iniziarono a collezionare opere d’arte, tra cui dipinti di Picasso e Marc Chagall. La coppia condusse una vita ricca tra lussi e sfarzi anche se, come riportano le cronache, non eccessivamente mondana. Nel 1987, alla morte del marito, Heidi ereditò una fortuna inestimabile. Nel 2018 presentò al pubblico una selezione di 175 opere della sua collezione. La mostra – intitolata WOW! La Collezione Heidi Horten  curata da Agnes Husslein-Arco, al Leopold Museum di Vienna – ebbe un grandissimo riscontro. Sull’onda del successo, Heidi decise di condividere la sua collezione con un pubblico più ampio. Così, il 2 giugno 2022, aprì un suo museo privato con la Collezione Heidi Horten, ubicato tra la Staatsoper e il Burggarten di Vienna. La collezionista morì solo dieci giorni dopo l’apertura della mostra.

Heidi Horten, scomparsa a 81 anni, lascia un’eredità stimata da Forbes in 2,9 miliardi di dollari, classificandosi tra le 500 persone più ricche del mondo e confermando la sua posizione di rilievo nel mondo del collezionismo. Anche se l’origine del patrimonio multimiliardario rimane tutt’ora controversa.

C’è infatti chi sottolinea una differenza significativa e sostanziale tra acquistare gioielli sapendo che sono rubati e acquistare gioielli rubati in buona fede. Acquistare gioielli sapendo che sono rubati – come affermato da alcuni contestatori del patrimonio Horten – costituisce un atto di complicità con il crimine commesso. È una scelta consapevole di sostenere l’attività illegale, incoraggiando il furto e alimentando il mercato dei beni rubati. D’altro canto, acquistare gioielli rubati in buona fede significa che il compratore non è a conoscenza del fatto che i gioielli sono stati ottenuti tramite un furto o un crimine. In questo caso, il compratore può essere considerato meno responsabile dal punto di vista etico, poiché non ha intenzionalmente sostenuto il crimine o tratto beneficio dal furto.