J.D. Vance e Donald Trump

Vicepresidenza di J.D. Vance: implicazioni per ebrei americani e Israele tra entusiasmo, dubbi e contraddizioni

Personaggi e Storie

di Marina Gersony
Molti si interrogano in questi giorni su come l’elezione del candidato alla vicepresidenza USA potrebbe avere implicazioni significative per la comunità ebraica americana e israeliana nonché internazionale in un contesto caratterizzato da un mix di supporto e controversie.

J.D. Vance, 39 anni, all’anagrafe James Donald Bowman e conosciuto come J.D., sarà il compagno di corsa di Donald Trump. La scelta è arrivata 45 ore dopo che un ragazzo armato, 13 luglio, ha tentato di assassinare Trump mentre teneva un comizio elettorale in una fiera agricola a Meridian, nella periferia ovest di Butler, in Pennsylvania. Eletto lo scorso anno al Senato degli Stati Uniti in rappresentanza dell’Ohio, in passato Vance era stato un acceso critico di Trump – lo aveva definito un potenziale «Hitler americano» –, ma da allora si è allineato alle politiche dell’ex presidente, trovandosi addirittura alla destra di Trump su alcune questioni.

Nelle ultime settimane, Trump aveva dichiarato di essere alla ricerca di un compagno di corsa che potesse aiutarlo a farsi eleggere e a «fare un lavoro fantastico come presidente» durante quello che sarebbe il suo secondo mandato di quattro anni. Nello spiegare la sua scelta sulla sua piattaforma Truth Social, Trump ha elogiato il servizio militare del suo delfino (ha combattuto nel corpo dei Marines degli Stati Uniti e ha prestato servizio nella guerra in Iraq) e il suo pedigree nella Ivy League.

Ma prima vale la pena ricordare la figura di questo giovane politico in corsa, con una storia movimentata alle spalle. E lui, la sua storia, l’ha raccontata in un libro di grande successo, Elegia americana (Garzanti, 2017), trasposto su Netflix in un film di Ron Howard con Glenn Close. Inizialmente previsto per il mercato locale, il libro ha scalato le classifiche grazie a un “racconto universale” di gente semplice dell’Ohio, del Kentucky, dei Monti Appalachi. In breve, la sua è la storia di una famiglia dalle umili origini segnata da povertà e violenza domestica: una madre tossicodipendente, patrigni nullafacenti, vicini di casa alcolisti che sopravvivono con i sussidi e si lamentano del governo, in una regione in cui i tassi di disoccupazione sono sempre più alti e l’abbandono scolastico è la norma. Nonostante questa vita tumultuosa, raccontata con un certo orgoglio di appartenenza, il self-made ha ottenuto una borsa di studio alla Yale Law School e un seggio al Senato nel 2022 con il sostegno di Trump. Il resto è una nuova storia.

In che modo questo astro nascente della politica USA potrebbe piacere agli ebrei, oppure respingerli? Premettiamo che Vance è noto per essere un convinto sostenitore di una solida relazione tra Stati Uniti e Israele e un aperto oppositore dell’antisemitismo in America. Non c’è quindi da stupirsi se per molti osservatori la sua nomina sia una buona notizia per Israele, per gli ebrei americani e della diaspora, siano essi repubblicani, democratici o nessuno dei due, che hanno assistito a un allarmante picco di antisemitismo dal 7 ottobre. Vance sottoscrive la visione del mondo isolazionista di Trump e potrebbe attrarre elettori con radici operaie in stati chiave. Tuttavia, questa scelta potrebbe anche riaccendere preoccupazioni sul sostegno alla campagna di Trump da parte di nazionalisti cristiani e persone con opinioni antisemite. Vance aveva più volte dichiarato che l’antisemitismo deve essere perseguito. In un’intervista al Jerusalem Post del 2022, emblematica la sua frase: «Se picchi un ebreo e non ne subisci le conseguenze, gli attacchi continueranno e peggioreranno», aveva affermato.

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Di fatto gli antisemiti e gli attivisti anti-israeliani si sono infuriati lunedì per la scelta di Trump come vicepresidente, affermando sui social che Vance è controllato da Israele o dagli ebrei. Come riporta sempre il Jerusalem Post in questi giorni, le teorie del complotto sulla fedeltà di Vance a Israele o agli ebrei si basavano sulle sue ferme posizioni filo-israeliane e sui buoni rapporti con la comunità ebraica americana.

Un lungo articolo del Forward analizza cosa potrebbe significare per gli ebrei americani e per Israele l’elezione del vice di Trump nella corsa alla Casa Bianca. Di seguito, i punti salienti, tenendo presente che per valutare obiettivamente le sue posizioni su questo tema in continua evoluzione, è sempre necessario consultare più fonti.

Implicazioni per gli ebrei americani

Supporto e libertà di parola Vance ha espresso posizioni di supporto verso la libertà di parola, anche quando questo ha significato difendere figure controverse come Nick Fuentes e Marjorie Taylor Greene. Ha criticato la sospensione dell’account di Fuentes su X, sostenendo la libertà di espressione, anche se alcuni considerano questa posizione problematica a causa delle opinioni antisemite di Fuentes. Di recente Vance ha giustificato Trump per aver accusato gli ebrei americani di slealtà verso Israele suggerendo che odiassero la loro religione votando per i democratici, definendo questo un argomento «ragionevole» per attrarre elettori ebrei. In un discorso a un pubblico prevalentemente chassidico e ortodosso, Vance ha detto: «In America, amiamo gli ebrei». Tuttavia, c’è chi vede in queste difese una tolleranza verso l’antisemitismo, creando potenziali preoccupazioni per gli ebrei americani.

Legislazione e politiche

Vance ha proposto una legge per impedire ai college di ricevere finanziamenti federali se non rimuovono accampamenti di protesta, ma non ha firmato importanti leggi bipartisan contro l’antisemitismo. Questo doppio standard potrebbe suggerire un impegno limitato verso la lotta contro l’antisemitismo istituzionale.

Teorie della sostituzione e antisemitismo

Le sue dichiarazioni su George Soros e l’organizzazione di voli per le donne dell’Ohio per abortire in California sono state criticate come ricorso a luoghi comuni antisemiti. Tuttavia, molti sostenitori ebrei di Trump potrebbero non preoccuparsene, poiché Trump ha spesso citato Soros come burattinaio nelle sue e-mail di raccolta fondi.

Implicazioni per Israele

Sostegno a Israele

Vance ha visitato Israele durante la sua campagna del 2022 e ha criticato il sostegno degli Stati Uniti alle proteste antigovernative contro la revisione giudiziaria. Ha espresso un forte impegno verso Israele, riconoscendo l’importanza storica e religiosa del Paese per molti americani cristiani. Questo potrebbe tradursi in una politica estera statunitense fortemente pro-Israele sotto la sua vicepresidenza.

Critica delle politiche interventiste

Come sostenitore del programma «America First» di Trump, Vance ha criticato le politiche interventiste, preferendo un approccio più isolazionista. Dopo l’attacco del 7 ottobre a Israele, ha attribuito la colpa all’amministrazione Biden per aver scongelato fondi per l’Iran e ha chiesto una rapida fine della guerra a Gaza. Questo approccio potrebbe influenzare negativamente le relazioni con gli alleati e aumentare le tensioni in Medio Oriente.

Opposizione agli aiuti per l’Ucraina

Vance ha guidato l’opposizione al piano di finanziamento di emergenza per Israele e Ucraina, accusando Biden di usare la crisi israeliana per giustificare più aiuti per l’Ucraina. Ha votato contro il pacchetto di aiuti esteri e ha sottolineato la necessità di spiegare agli americani l’importanza del sostegno a Israele. Questo potrebbe riflettere un approccio selettivo agli aiuti esteri, concentrandosi più su Israele che su altre nazioni in conflitto.

Riflessione finale

La vicepresidenza di J.D. Vance rappresenterebbe un periodo di forti contraddizioni per gli ebrei americani e per Israele, suggerendo prudenza nell’esprimere giudizi definitivi. Da un lato, il suo impegno a favore della libertà di parola e il suo forte sostegno a Israele potrebbero essere visti positivamente. Dall’altro, secondo alcuni osservatori, le sue difese di figure controverse e certe dichiarazioni allusive a teorie antisemite potrebbero alimentare preoccupazioni significative. La sua posizione isolazionista e la critica agli aiuti esteri, con l’eccezione di Israele, suggeriscono una politica estera selettiva che potrebbe avere in generale conseguenze complesse per le relazioni internazionali degli Stati Uniti.