Victor Massiah

Victor Massiah, nuovo presidente del Keren Hayesod: «Da Tripoli all’Italia, dalle banche alla solidarietà. Con Israele nel cuore»

Personaggi e Storie

di Fiona Diwan
Victor Massiah sprigiona dinamismo anche seduto al tavolino di un bar, abitato da un’energia irrequieta e insieme concentrata, come chi è abituato a prendere decisioni difficili in un mondo economico e finanziario italiano pieno d’insidie. Un mondo che Massiah conosce bene, con una carriera spesa ai vertici delle più importanti banche del Paese, dalla vicedirezione del Banco Ambrosiano Veneto negli anni Novanta fino alla carica di CEO di Ubi Banca dal 2008 al 2020.

L’impressione, incontrandolo, è che Massiah abbia imparato a lasciare uno spazio aperto tra sé e gli altri, uno spazio di libertà che sappia accogliere l’ascolto e il non-prevedibile. Nato a Tripoli, in Libia nel gennaio del 1959, giunto in Italia a tre anni, nel 1962, dopo una fuga precipitosa, Massiah ricorda poco o nulla della propria infanzia ma ha ben presente l’impatto traumatico che ebbe sulla sua famiglia.

«Arrivammo a Roma senza nulla, avevamo perso tutto sebbene fossimo piuttosto agiati. Mio padre Ralph era un direttore di banca e una volta arrivato in Italia trovò un impiego come contabile alla Renault. Fu un suo amico, Roberto Haggiag, che lo coinvolse qualche tempo dopo nel mondo del cinema, alla Dear Film (e in seguito alla Disney e alla 20th Century Fox). Ricordo ancora il regime di austerità domestica di quei primi anni a Roma, come mio padre mi concedesse un budget illimitato soltanto per i libri mentre per il resto niente, neppure un gelato. Lo ringrazio ancora per il rigore che mi ha insegnato».

Così racconta Victor Massiah, nuovo Presidente italiano del Keren Hayesod, banchiere, studi di economia a Roma con mentori quali Federico Caffè e Mario Draghi, protagonista nei decenni di alcune delle vicende bancarie tra le più rilevanti del Paese: dal 1982 in Andersen Consulting e poi in McKinsey & Co. (una tra le big firm mondiali della consulenza dalla quale sono usciti banchieri come Alessandro Profumo e Corrado Passera). E poi come vice-direttore del Banco Ambrosiano Veneto e con la fusione di questo con Cariplo e la nascita di Banca Intesa nel 1999; e ancora, la direzione generale di Banca Lombarda e Piemontese e poi, negli anni Duemila, CEO di Ubi Banca. Oggi Victor Massiah è coinvolto in numerose società di consulenza e partnership, con progetti di sviluppo e un occhio attento rivolto al mondo dei giovani e della sostenibilità ambientale: da Planet Farms («un progetto di cui mi sono innamorato, avveniristico e affascinante, che produce agricoltura verticale, coltivazioni in serie in pochissima terra e acqua»), a Next Growth (assiste gli imprenditori di fronte a imprese sfidanti e straordinarie), fino a Newcleo (una società che produce piccoli reattori con pochissime scorie radioattive), e infine Senior Advisor per l’Italia di Temasek, un fondo di Singapore.

Inoltre, Massiah insegna con regolarità all’Università Cattolica di Milano ed è nel board dell’Accademia del Teatro La Scala, una fucina di giovani talenti, un impegno chiave nel sostegno che Massiah vuole dare ai ragazzi e al loro futuro. Amore per la musica e per le sonorità ebraiche delle canzoni di Leonard Cohen, sommesse e carezzevoli come una preghiera sussurrata: ma Massiah ama «anche i Led Zeppelin e Giuseppe Verdi, gli U2, i Beatles e Beethoven. La mia vicinanza a Israele? Si esprime soprattutto per l’ammirazione che ho per i suoi scrittori giovani, Etgar Keret e Eshkol Nevo, anche se il più grande rimane, a mio avviso, Abraham B. Yehoshua con uno dei suoi romanzi-capolavoro, Viaggio al termine del Millennio (come dimenticare le pagine memorabili del “duello” tra un ashkenazita e un sefardita quando, in una fredda Parigi medievale, entrambi dibattono sulla legittimità ebraica di praticare la poligamia, ossia se l’ebraismo permetta di avere una o più mogli?)».

Massiah, che cosa l’ha spinto ad accettare la guida del Keren Hayesod? 

Vado spesso in Israele, ho molti famigliari laggiù e conosco da vicino la sua realtà sociale e economica. Ma è soprattutto l’idea del give-back ad avermi spinto ad accettare questo incarico, il voler restituire ciò che ti è stato dato, la spinta emotiva a mettersi al servizio degli altri, il desiderio di dedicarsi a imprese e società che abbiano chiaro e forte il senso del valore sociale e delle ricadute salvifiche sulla vita delle persone. Si arriva a un’età, la mia, in cui questo bisogno di “restituire” diventa urgente. Il Keren Hayesod si inserisce in questo quadro personale, trovando corpo nell’impegno di ricerca fondi per Israele e per il mondo ebraico nella sua interezza. Il KH, ovunque nel mondo e in Israele, aiuta le persone più vulnerabili, fornisce loro risorse, formazione, aiuta a produrre un cambiamento concreto e tangibile nella loro vita.

Quale, ad esempio, l’intervento del KH nella crisi Ucraina?

IL Keren Hayesod è riuscito a raccogliere in tempo record una quantità impressionante di fondi, più di 22,8 milioni di dollari per sostenere i profughi ucraini, una campagna di emergenza che ha aiutato in loco gli ebrei sotto attacco e tutti coloro che hanno visto distrutta la propria vita laggiù. Ma abbiamo anche portato in salvo sia rifugiati ucraini sia ebrei russi in fuga, nuovi olim, supportandoli e accogliendoli in Israele (gli immigrati dall’Ucraina in Israele nel solo 2022 sono stati 15.213). Un’assistenza vitale per una crisi umanitaria senza precedenti in Europa, dal Dopoguerra: operazioni di salvataggio, medicine, forniture di beni essenziali… Inoltre, solo nel 2022, il KH ha aiutato quasi 75 mila nuovi immigrati in Israele, sostenuto sette mila anziani indigenti accogliendoli in strutture residenziali apposite, ha supportato 12 mila famiglie e bambini nel diritto allo studio, costruito e rinnovato ben undici rifugi anti bombardamenti, favorito i viaggi di 12 mila giovani tra i 18 e i 30 anni – con il programma Masà -, provenienti da 60 paesi nel mondo.

In che termini il Keren Hayesod è intervenuto nelle realtà ebraiche italiane, negli ultimi anni?

Forse pochi sanno che il KH ha dato all’Italia ebraica, a fondo perduto, 180 mila euro di supporto Covid per cibo, spese sanitarie, aiuti alle scuole e alle famiglie. Senza contare, inoltre, che a tutte le comunità ebraiche italiane, il KH ha messo a disposizione un milione di dollari sotto forma di prestito a un tasso bassissimo e restituibile in tempi molto lunghi. Il milione di dollari è stato erogato tramite l’Agenzia Ebraica, la Sochnut, il braccio operativo del KH, l’ente strumentale che lavora in parallelo al KH. E ancora: si è pensato di creare un fondo di decine di migliaia di euro per far fronte alla necessità di resilienza in tempi di crisi, un training studiato apposta per i leader delle comunità ebraiche.

Quali le linee di azione sull’Italia?

Personalmente, in accordo col Consiglio, vorremmo coinvolgere di più tutte le comunità italiane, anche quelle più piccole. La loro presenza è fondamentale, la dialettica diaspora-Israele è parte importante della vitalità ebraica e fino ad oggi le piccole realtà ebraiche non sono state coinvolte a sufficienza. Anche la partecipazione al KH della Roma ebraica langue da troppo tempo, da otto anni, e andrebbe rivitalizzata e rilanciata. Non è pensabile che gli ebrei di Roma siano così poco presenti nelle attività del Keren Hayesod. Non tutti sanno, ad esempio, che la metà dei finanziamenti per la crisi post-Covid messi a disposizione dal KH sono andati proprio alla Comunità Ebraica di Roma, sotto forma di aiuti alle famiglie.

Quali la vision e i progetti futuri?

Quella del KH è una storia ultracentenaria, il KH non può avere un pensiero corto, non può coltivare una vision a breve termine. Ad esempio, i progetti sui giovani sono imprescindibili e pensiamo di implementare in modo considerevole la Young Leadership onde formare i futuri leader e rendere più ebraicamente consapevoli i giovani. E infine gli eventi: ad esempio a Milano stiamo organizzando la grande cena di gala per il 27 novembre prossimo.

Gli obiettivi del KH per il 2024?

Dopo il periodo del Covid si deve tornare a un KH che incontri le persone, una ad una, in presenza. Penso a interazioni dirette, a eventi, a una campagna di sensibilizzazione sui giovani con la ricerca di volontariato attivo e militante: vorrei che i ragazzi capissero che il KH è una cosa loro, vorrei aiutarli a prendere in mano degli eventi e a costruire una loro progettualità. Infine, sarà importante informare ogni donatore – con un report mensile via mail – di che fine fanno i loro soldi, che cosa accade della loro donazione, informandoli sullo stato di avanzamento dei progetti e su chi sono le persone che hanno beneficiato della cifra che è stata donata. Altrettanto fondamentale è ritornare ai viaggi in Israele che, con il Covid, non sono più stati realizzati: non solo Shvil Israel, i viaggi a piedi, non solo le visite ai luoghi creati dal KH, ma anche villaggi, tecnologia, nuove realtà di ogni genere. Per stimolare il senso di meraviglia e di scoperta non solo negli adulti ma soprattutto nei ragazzi. Che dice? Le sembra poco?