Yemini: Combattere le menzogne che generano l’odio

Personaggi e Storie

di Ester Moscati

BB!“Oggi ho tenuto una lezione all’Università Cattolica. Ebbene il professore ha esortato gli allevi a non fidarsi di me, a non credere a tutto ciò che avrei detto, perché ‘di parte’. In realtà temeva che sbugiardassi il mondo accademico che, insieme alla maggior parte dei media, contribuisce a quella che chiamo ‘l’industria delle bugie’. I propalatori di menzogne su Israele”.

Così esordisce Ben Dror Yemini, scrittore e giornalista, firma storica di Maariv e da qualche mese di Yediot Ahronoth, autore del saggio “Conflitti e sfide. L’industria delle bugie” (The Industry of Lies); siamo nella sede del Bené Berith che, con la Comunità, ha organizzato questo incontro. In un serrato confronto con il responsabile esteri di Sky TG24 Renato Coen, che lo ha intervistato, Yemini ha presentato il suo lavoro di ricerca e difeso con passione le sue opinioni. “Sono stato per anni fortemente impegnato nel campo della pace, ci ho creduto fino in fondo, ho incontrato Arafat. Ma ora… nonostante sia un ottimista, in questa fase i dubbi e le tensioni sono troppo forti. La mia battaglia in questo momento è contro le menzogne che creano un disequilibrio di posizioni, a danno di Israele”.

Renato Coen definisce Yemini “una voce importante e originale nel panorama degli opinionisti israeliani, che non teme di criticare la destra ma anche la sinistra e soprattutto chi dall’estero attacca Israele senza cercare di capire la sua condizione”.

“Claire Short, ministra del governo Blair, disse che la ‘oppressione dei palestinesi era la maggiore causa della violenza nel mondo’. Prima di lei, un altro aveva sostenuto che gli ebrei erano la più grave minaccia per l’umanità: Adolf Hitler. Ma anche Arun Gandhi, nipote del Mahatma, sosteneva che Israele e gli ebrei sono i promotori della cultura della violenza e che possono distruggere l’umanità. Il premio Nobel Saramago ha paragonato la Palestina ad Auschwitz. Gli ebrei sono accusati di genocidio ai danni del popolo palestinese, ma i dati ci dicono che la popolazione palestinese è in costante crescita. Che la scolarizzazione, le condizioni e l’aspettativa di vita, sono più alte nella West Bank che in ogni altra parte del mondo arabo-musulmano, compresa la Turchia. E questo grazie al sistema socio-sanitario di Israele. Anche la mortalità infantile è di gran lunga la più bassa dell’area mediorientale/asiatica. Eppure nel mondo si accusa Israele di uccidere i bambini palestinesi.
Gli arabi musulmani uccidono la maggior parte di musulmani, questa è la verità”.

L’analisi di Ben Dror Yemini è a tutto campo, ed è un peccato che il libro non sia ancora disponibile in italiano, ma solo in ebraico e in inglese. Molti nel nostro Paese dovrebbero leggerlo, per i dati che presenta sulla jihad globale e morti in crescita esponenziale; ma anche il raffronto tra la Nakba palestinese e i pogrom e la cacciata degli ebrei dal mondo arabo dal 1948 in poi, quella sì una vera pulizia etnica.

“Ogni guerra ha provocato dislocazione di popolazione; l’hanno subita i tedeschi, i cechi, i polacchi, gli istriani, gli ebrei. Ma i palestinesi sono l’unica comunità restata profuga, mantenuta strumentalmente in questa condizione. E le bugie continuano; Israele sarebbe uno stato di Apartheid. Ma ci sono arabi israeliani nella Corte suprema dello Stato ebraico, e in parlamento e in ruoli chiave. Ricordiamoci del Rapporto Goldstone, che smentì le prime valutazioni sulla guerra a Gaza dopo le verifiche”.

Bugie, bugie, bugie. “Israele viene accusata continuamente, anche dall’ONU oltre che da Governi e Media di tutto il mondo, di ‘uso sproporzionato della forza’ e di ‘non badare alle vittime civili’. Ho controllato: il numero di vittime civili provocate da Israele è inferiore a quelle causate in ogni altra guerra da trent’anni ad oggi, anche meno di quelle di cui è responsabile la Nato in Kossovo. I dati dimostrano che Israele fa di tutto per proteggere i civili, nonostante i combattenti palestinesi non facciano nulla per proteggere la popolazione, anzi”.

Renato Coen fa rilevare che paragonare Israele all’Isis quanto a vittime, o confrontarsi con gli antisemiti rischia di ritorcersi contro Israele, ma Yemini non è d’accordo: “Non ho confrontato Isis e Israele ma ho risposto alle bugie di chi dice che Israele ha fatto più vittime di tutti. Ho voluto far vedere che la propaganda palestinese vuole creare il Mostro. E Media e Università seguono questa propaganda”.

“Ti consideri ancora nel campo della pace?”, chiede Coen. “Sì ma ci sono troppe bugie. Il punto di svolta è stata la conferenza di Durban nel 2001, che doveva essere un summit contro il razzismo e si è trasformata nella più folle kermesse antisemita e razzista della storia. Da allora l’odio contro Israele e gli ebrei è dilagato”.

Ma c’è una domanda che chiama una risposta chiara: “Se i palestinesi che vivono in Cisgiordania hanno una qualità di vita migliore che nel resto del mondo arabo, perché non sono felici, perché lottano e protestano?”
“Perché vogliono la loro indipendenza e uno Stato. Ma sono i loro leader che hanno rifiutato dal 1948 tutte le spartizioni. Fino al 1967 non c’era l’occupazione Israeliana, la West Bank era occupata dalla Giordania e Gaza dall’Egitto. Perché non hanno fatto allora lo Stato palestinese? Perché la lotta della leadership arabo-palestinese non è ‘per’ i palestinesi ma ‘contro’ Israele. La prima proposta di pace fu fatta da Clinton a Camp David. I palestinesi dissero no, anche se l’Arabia Saudita, per bocca del suo ambasciatore in Usa, disse ad Arafat che lo avrebbe sostenuto nel fare la pace, e che ‘rifiutare quella opportunità non sarebbe stata una tragedia, ma un vero crimine’: eppure Arafat perse quella storica opportunità”.

È successa la stessa cosa, di nuovo, con il piano Kerry lo scorso anno.
Abu Mazen non accetta la spartizione e mette sul piatto il diritto al ritorno di 6 milioni (guarda un po’) di profughi palestinesi all’interno di Israele. Che significa semplicemente la distruzione di Israele.

Renato Coen incalza: “Israele è pronto oggi alla soluzione dei due Stati?”

Yamin tentenna: “Sono contro lo Stato bi-nazionale, quindi la soluzione ‘Due popoli in due Stati’ è l’unica cosa da fare. Ma oggi i musulmani si uccidono tra di loro ai nostri confini. E Israele deve osservare molto attentamente che cosa fanno i suoi vicini, perché oggi c’è un problema più grave di sicurezza”.

Israele però ora, proprio a causa dell’Isis, è più in sintonia con alcuni Stati arabi, come Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Paesi del Golfo… Non possono, questi, aiutare i palestinesi spingendoli verso la pace?

“Abu Mazen non molla sui rifugiati; sono realista, non penso che palestinesi faranno concessioni su questo. E Israele non può accettarlo”.

Ma allora, perché Israele non riesce a spiegare al mondo che sono i palestinesi che non vogliono l’accordo? E perché i Paesi occidentali stanno approvando mozioni che riconoscono la Palestina come Stato?

“Sono un ricercatore, non un rappresentante del governo di Israele. Perché Israele non è bravo nella propaganda? Non lo so. Certo i palestinesi sono bravissimi in questo. Ma tutti noi, tutti voi, possiamo fare qualcosa, scrivere ai giornali, su internet…”

E la società Israeliana? Stanno crescendo gli estremisti, anche fascisti; è un rischio per il Paese?

“Sapete quanti skinheads ci sono in Europa, in Danimarca, in Norvegia… Migliaia. In Israele sono pochissimi gli estremisti, forse qualche centinaio di persone. Dobbiamo guardare le proporzioni. Non è la società israeliana ad essere in pericolo, e questo nonostante si viva un conflitto decennale”.

Anche il pubblico in sala ha voluto stimolare l’oratore ad approfondire il tema dello Stato bi-nazionale o della separazione; ma anche la questione demografica e il perché i palestinesi siano così “amati” nel mondo, la loro causa sempre in primo piano anche se tragedie che coinvolgono milioni di persone, come nel Darfur, passano invece sotto silenzio. E ancora, il conflitto che sta diventando guerra religiosa.

“Ci sono molte ragioni – commenta Yemini – Il postcolonialismo, l’antisemitismo, l’occupazione che comunque la si guardi non è una condizione sana. Anche se l’occupazione giordana era forse peggiore, Israele è percepito come un ‘estraneo’. E poi ci sono tanti giornalisti in Israele, che non ci pensano nemmeno ad andare nel Darfur né in Nigeria.
La guerra religiosa, invece, è sia interna al mondo musulmano sia contro l’occidente. Sono già in Europa, ci sono più jiahadisti nel Regno Unito che in Israele”.

Su una cosa Ben Dror Yemini e Renato Coen concordano in pieno: “Israele è un Paese meraviglioso dove vivere; ha una economia forte, esportazioni in crescita, relazioni con India e Cina che danno buone prospettive… Tecnologia all’avanguardia ma anche altissimi livelli nei campi dell’arte, della scienza, della musica. Non dobbiamo smettere di sperare in un futuro di pace”.