di Paolo Salom
[Voci dal lontano Occidente]
Le immagini arrivate da Washington ai primi di gennaio hanno impressionato tutti nel mondo. E in particolare noi ebrei. Diciamo la verità. Nessuno credeva possibile ascoltare un presidente degli Stati Uniti, in procinto di lasciare la Casa Bianca, mentre incitava i suoi sostenitori a dare l’assalto al Congresso. O vedere quella pattuglia di facinorosi, alcuni dei quali più simili a clown, farlo davvero, con le conseguenze tragiche di morti e feriti. Soprattutto, mai avremmo immaginato di contare, tra gli estremisti all’assalto del Parlamento americano, decine di antisemiti e neo nazisti, fieri di mostrare i loro simboli, alcuni vestiti con abiti che portavano scritte ingiuriose nei confronti della Shoah, peraltro negata. Ma in che mondo viviamo? E soprattutto, lo sanno questi folli che il loro ex presidente è considerato uno dei migliori amici degli ebrei e di Israele? Lo sanno che la figlia prediletta di Donald Trump, Ivanka, si è convertita all’ebraismo ortodosso per sposare Jared Kushner, a sua volta stretto consigliere della Casa Bianca e artefice degli Accordi di Abramo, uno dei traguardi più importanti per la vita di Israele nella sua Patria storica?
In realtà, il nostro stupore è solo apparente. Nel lontano Occidente le contraddizioni e le tensioni sociali hanno la pessima abitudine di trasformarsi in campagne antisemite o, nei casi più gravi, in pogrom. Basti pensare al caso Dreyfus, nella Francia dei Lumi e della Ragione, incapace tuttavia di venire a capo di una sconfitta (1870) patita dall’Impero germanico. Risultato: l’ufficiale ebreo incolpevole condannato a finire i suoi giorni sull’Isola del Diavolo, le strade e le piazze di Francia percorse da una folla impazzita che gridava “morte agli ebrei”. E ancora, questa volta nella Germania sconfitta nella Prima guerra mondiale, gli ebrei diventano i catalizzatori di un odio trasversale che unisce la nazione dietro a Hitler: e sappiamo come poi è finita. Ma dovrei ancora menzionare le persecuzioni nell’Impero zarista prima e nell’Urss di Stalin dopo, i complotti dei “medici ebrei” in procinto di essere schiacciati e dissoltisi nel nulla soltanto per la morte del Maresciallo. E ancora: la campagna contro gli ebrei nella Polonia del 1968.
Le vergognose tirate antisemite che in Europa sono seguite all’ondata di attacchi terroristici dei palestinesi (i più anziani di noi ricordano ancora il corteo dei sindacati che, a Roma, sfilò, nel 1982, con una bara di fronte alla Sinagoga centrale, dove poche settimane dopo fu ucciso, in un terribile attentato, il piccolo Stefano Tachè: quella era l’Italia che, attraverso le parole di Pertini e Craxi, esaltava la “resistenza anti israeliana” e paragonava Arafat a Giuseppe Mazzini).
Ecco, siamo partiti dai fatti di Washington per arrivare in Europa, scorrendo la Storia in su e in giù: come vedete il filo comune c’è. Avvenimenti che nulla avrebbero di simile legati da questa pervicace, oscena, ripetitiva tendenza a dare la colpa agli ebrei. Di cosa? Di tutto: del capitalismo e del comunismo. Delle insurrezioni e del colonialismo. Della globalizzazione e del nazionalismo. Perciò gli antisemiti che sostengono Trump non sono in fin dei conti in contraddizione: dove c’è violenza – soprattutto quando è frutto di ingiustificata frustrazione – il capro espiatorio è già lì, nelle menti, pronto all’uso.