di Paolo Salom
[Voci dal lontano occidente]
Pronunciare la parola insediamento, o meglio colonia, senza farla seguire dal termine “illegale” equivale oggi a entrare in un campo minato virtuale dal quale è pressoché impossibile uscire indenni. In parte ciò è dovuto al passato di conquiste delle potenze (in gran parte ma non solo occidentali) che, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, si erano praticamente spartite il mondo in aree di influenza e sfruttamento, avendo assoggettato popoli dalle diverse origini e culture. Quella stagione è finita da decenni, come sappiamo (salvo rare eccezioni), ma ha lasciato un senso di colpa storico ancora molto forte nelle coscienze di noi posteri, sorta di vaccino comportamentale che ci impedisce persino di immaginare una ripetizione di azioni simili.
Questo preambolo aiuta a comprendere perché la politica di Israele in Giudea e Samaria incontra l’ostilità preconcetta di chiunque affronti l’argomento, anche di chi sostiene sinceramente le ragioni dello Stato ebraico e le sue esigenze di difesa in un contesto davvero unico. Ora, un punto fondamentale da comprendere è la differenza tra l’impresa coloniale del passato e la costruzione di una presenza ebraica (città, villaggi, quartieri) al di là della cosiddetta linea verde, ovvero il confine emerso al termine della guerra d’Indipendenza del 1948-1949, seguita alla (ri)nascita di Israele. Giudea e Samaria, fino al 1967 in mano ai giordani, Gaza all’Egitto, non sono “terre straniere” ma regioni comprese nel Mandato britannico sulla Palestina che avrebbero dovuto far parte di un’entità binazionale, sorta di federazione di due Stati indipendenti, uno arabo l’altro ebraico. Il rifiuto da parte degli arabi palestinesi (e di tutti gli Stati vicini) alla partizione e soprattutto il desiderio di annientare la presenza ebraica in quella terra è la ragione di tutti i conflitti che si sono succeduti.
Nel 1967 Israele, in una guerra difensiva, ha liberato Giudea, Samaria e Gaza dalla presenza straniera: i giordani e gli egiziani. In seguito lo Stato ebraico ha avviato lentamente ma con grande costanza la ricostruzione di quei villaggi distrutti nel 1948 aggiungendone di nuovi. Questi insediamenti, che il mondo giudica “colonie illegali”, in realtà non sono affatto tali: perché gli israeliani non sono stranieri che hanno conquistato un territorio che apparteneva a un altro Stato, ma indigeni su una regione che, in ogni pietra, racconta la Storia millenaria del popolo ebraico.
Per conoscere chi siano questi israeliani, che spesso hanno pagato con la vita la volontà di portare a termine l’impresa di ricostruzione dell’antica nazione ebraica, un giornalista italiano, Pietro Frenquellucci, ha percorso in lungo e in largo Giudea e Samaria, parlando con i residenti, ebrei e arabi, e infine scrivendo un saggio che, senza fare sconti a nessuno, ha il pregio di esaminare “laicamente” le ragioni e i racconti di chi negli insediamenti c’è andato per scelta o semplicemente per necessità. Coloni: gli uomini e le donne che stanno cambiando Israele e cambieranno il Medio Oriente è pubblicato dalla Libreria Editrice Goriziana (pp. 266, 22 euro).
Frenquellucci non esprime giudizi né offre interpretazioni per spiegare la scelta compiuta da migliaia di persone, spesso semplici pendolari (in teoria gli ultimi esseri umani a sfidare la storia) di trasferirsi oltre la linea verde. Piuttosto è un flusso di coscienza dei protagonisti che si raccontano all’autore e, con le loro parole, spiegano cinque decenni di conflitto in un territorio non più grande di due medie province italiane. Proprio qui è la forza di questo agile libro suddiviso in capitoli, ognuno dedicato a un insediamento: di pagina in pagina noi lettori della lontana Europa riusciamo a entrare in case (spesso poco più di un container) costruite là dove la storia ebraica assegna nomi e racconta vicende antiche di millenni.
A chiusura e arricchimento del saggio di Frenquellucci il lettore troverà due interessanti colloqui con l’ex vicesindaco di Gerusalemme, David Cassuto, e con il professor Sergio Della Pergola, demografo dell’Università Ebraica di Gerusalemme.