di Paolo Salom
Dunque gli Stati Uniti hanno, di nuovo, pugnalato Israele alle spalle. L’astensione al Consiglio di Sicurezza sulla risoluzione proposta da Cina e Russia ha consentito alla consueta maggioranza anti israeliana di portare a compimento il loro progetto di delegittimazione. Di nuovo: esattamente come era accaduto nel dicembre 2016, quando il presidente Barack Obama, a pochi giorni dal passaggio di poteri al nuovo eletto – Donald Trump – aveva ordinato di permettere l’approvazione di un testo di condanna agli insediamenti in Giudea e Samaria, chiamati per la prima volta nella storia “illegali”.
Mattone dopo mattone, le Nazioni Unite, ormai nelle mani di un gruppo di Paesi che oltre a Israele, hanno in odio l’Occidente tutto, cercano di smantellare l’impresa sionista, il miracolo che è stata la rinascita di Israele nella sua terra. Questa politica è talmente chiara che non serve nemmeno spiegarla: basta fare un semplice conteggio, da una parte i voti di censura contro Gerusalemme, dall’altra quelli contro il resto del mondo. Ogni anno Israele conquista la non tanto ambita coppa di Paese messo all’indice per le sue “mancanze”, per il suo essere uno Stato “nemico dei diritti umani” (!): più dell’Iran, della Corea del Nord, della Cina o della Russia. Incredibile? Per nulla, a giudicare dallo stato delle cose nel mondo di oggi.
L’unico argine a questo impazzimento, finora, erano i veti in Consiglio di Sicurezza eretti dagli Stati Uniti. Curioso: difendendo Israele, gli americani hanno in realtà sempre difeso se stessi, il mondo libero. Con Obama questa equazione ha perso di valore. Israele è stato spinto in un angolo per un supposto principio di equidistanza, di “giustizia”, dove gli Stati Uniti – supremo difensore del sistema internazionale – equiparavano le azioni di Israele a difesa della propria sopravvivenza agli attacchi spietati dei suoi nemici.
Basti pensare al 7 ottobre. Una strage tanto inumana contro civili inermi da superare – in proporzione – l’11 settembre. Questo per dire che la reazione di Israele contro Hamas non è stata e non è sproporzionata. Al contrario, è stata una risposta morale, giusta, addirittura doverosa a protezione del futuro dei cittadini e dello Stato. Ecco perché imporre, come si legge nella risoluzione approvata lo scorso 26 marzo dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, un “cessate il fuoco duraturo in occasione del sacro Ramadan”, sia pure in cambio degli ostaggi rapiti, ma senza nemmeno citare gli autori dei massacri – i terroristi di Hamas – è un errore storico oltre che politico.
Lo dimostra il fatto che Hamas è arrivato al punto di “ringraziare” il presidente Biden. E come prima cosa ha ribadito che non firmerà alcun accordo che non preveda la fine dell’azione militare da parte di Israele e il completo ritiro di Tsahal da Gaza. Come dire: si torna allo status quo ante, in attesa del prossimo assalto terroristico contro le comunità del Negev e magari, una volta riempiti nuovamente gli arsenali, di nuovi attacchi missilistici contro le città, da Sderot a Tel Aviv.
Insomma, questa risoluzione, mal scritta (è stata proposta da Cina e Russia: vi rendete conto?) è la patente che gli odiatori di Israele attendevano per completare l’opera di demolizione dell’unico Stato ebraico al mondo. L’America, alle prese con i propri fantasmi, in vista di elezioni presidenziali che non promettono comunque nulla di buono, hanno preferito sacrificare la pedina a loro giudizio meno indispensabile nei pesi e contrappesi di un mondo sempre più instabile. Errore esiziale. Ma, quanto a noi, non resta che rimboccarci le maniche e prepararci a superare anche questa (terribile) avventura.