Gerusalemme capitale di Israele: contro Trump, un inedito legame tra Vaticano e Turchia. Per mantenere lo status quo

Taccuino

di Paolo Salom

Avete notato? Non si sono aperte le cateratte del cielo. Anzi. A parte le solite, drammatiche notizie di attentati e scontri civili in questo o in quel Paese arabo, il megafono della propaganda mediorientale anti israeliana è stranamente silenzioso. Soltanto dal Libano e altri piccoli Paesi clienti dell’Iran si levano voci di minaccia contro lo Stato ebraico: più che altro è retorica per compiacere i padroni iraniani. Dunque il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele non ha portato le tragedie né la “rabbia popolare” dei musulmani come “promesso” e vaticinato. Intendiamoci, tutto questo non significa certo che Israele abbia davanti a sé un percorso in discesa. Con gli arabi dei Territori è fondamentale trovare un accordo. Quello che appare al momento, diplomaticamente, un vantaggio – certo un cambio di prospettiva dovuto alla nuova Amministrazione Trump – porterà in futuro degli impegni onerosi per Israele, concessioni di ugual peso da fare in nome della pace. Ma non dubitiamo che, qualunque governo sia al potere a Gerusalemme, la risposta di fronte alla possibilità di porre termine una volta per tutte a un conflitto secolare sarà positiva, nonostante gli inevitabili sacrifici.

Quel che appare vantaggioso, in questo momento, è la finestra di opportunità creata dalla “fantasia al potere” del nuovo presidente americano. Ha completamente sparigliato le carte (peraltro ammuffite da tempo) e rimesso in moto un processo che appariva incagliato in una serie di rifiuti apparentemente in grado di mettere Israele con le spalle al muro, sovrastato dalle iniziative internazionali di Abbas e dalla solita “maggioranza bulgara” ostile alle Nazioni Unite.
Ed ecco che arriva la novità che ribalta tutto quello che sembrava dato per scontato. Anche perché era stata preparata con cura, con l’avallo di importanti Paesi dell’area quali l’Arabia Saudita e l’Egitto. Naturalmente Trump non aveva messo in conto (o forse sì, ma senza curarsene troppo), che l’opposizione più decisa alla sua mossa potesse arrivare dall’Europa. Non solo, persino papa Francesco ha espresso la sua contrarietà al “cambiamento dello status quo”, in nome della libertà delle tre religioni monoteiste di avere accesso e diritti garantiti “internazionalmente” a Gerusalemme. Ovvero l’idea (assurda) di sottrarla all’unico Stato per il quale è stata capitale in tremila anni di Storia.

E in questo il papa ha trovato un estimatore nel presidente turco Recep Tayyip Erdogan, da tempo impegnato a inseguire un’ambizione davvero particolare: quella di sostituire i sauditi nella leadership dei musulmani sunniti (il 90% dei fedeli dell’Islam nel mondo). E così, l’Occidente trova alleati davvero singolari. Perché alla fine, l’unica cosa che sembra interessare è opporsi a Israele, ed è come se scattasse un tic, un riflesso condizionato. Inutile sottolineare che la libertà di culto, a Gerusalemme, è salvaguardata pienamente soltanto da quando la Città Santa è stata riunificata sotto la sovranità israeliana.

Non serve. Noi lo sappiamo, il lontano Occidente anche: ma fa finta che non sia così. Per continuare nella sua millenaria e vergognosa attitudine anti-ebraica.