di Paolo Salom
[Voci dal lontano occidente]
Si chiude l’anno ebraico ed eccoci per il tradizionale bilancio sulla situazione nella Golah e in Israele. Dodici mesi che qui e lì hanno avuto sapori del tutto differenti, a dispetto di quanto possa apparire a prima vista. Israele è in crescita- malgrado sia inserito in una delle aree più turbolente del pianeta e nonostante una situazione politica “complicata” -, appare sicuro di sé, una calamita per chiunque abbia un’idea e sufficiente coraggio per realizzarla; nella Diaspora, invece, gli ebrei si sentono minacciati, incerti del loro futuro, a soli settant’anni dalla tragedia più spaventosa della nostra storia dal tempo della distruzione del Tempio. In Italia i veleni dell’antisemitismo sembrano tenuti a bada: questo perché viviamo in un Paese che ha sedimentato nella memoria il “mai più” che altrove sembra molto più diluito.
Di fatto, l’Europa attraversa momenti di grande tensione, con episodi sempre più frequenti di attacchi a persone o istituzioni riconducibili all’ebraismo. Un anno da dimenticare, verrebbe da dire: eppure dobbiamo fare esattamente l’opposto. Vigilare, registrare ogni singolo atto di antisemitismo, non importa se in Italia (più infrequente) o nel resto dell’Unione Europea. Non possiamo permetterci di adottare atteggiamenti passivi o di acquiescenza in attesa che “passi la tempesta”. Lo abbiamo imparato e il costo è stato spaventoso.
Se ci pensate, forse la ragione della relativa sicurezza di Israele (è tra i Paesi più felici al mondo, dicono i sondaggi) è proprio nella dottrina che ha guidato lo Stato degli ebrei sin da prima della sua fondazione: mai attendere la mossa dei nemici (è successo soltanto nel 1973 e sappiamo che cosa ha significato per migliaia di famiglie dei caduti nella Guerra del Kippur); sempre stare un passo avanti e, se necessario, agire con l’opportuna determinazione. Nel lontano Occidente questa disposizione ha sempre attirato critiche. Per fortuna, i politici israeliani – e come potevano fare altrimenti? – hanno raddoppiato gli sforzi per evitare eccessi dal punto di vista militare (unici al mondo), ma non hanno mai perso di vista una verità tanto semplice quanto fondamentale: solo i forti vengono rispettati, piaccia o meno.
E questo è oggi Israele: un Paese forte non perché un’ideologia militarista lo guidi, piuttosto per il grande amore e rispetto che si ha per la vita umana. Di tutti. Questa lezione dovrebbe essere assimilata anche da noi che viviamo nel lontano Occidente. Non si tratta naturalmente di istituire difese basate sulla forza (bastano e avanzano, almeno in Italia, quelle garantite dallo Stato). Ma nella consapevolezza di ciascuno di noi: perché a tutti prima o poi capita di trovarsi faccia a faccia con chi mal sopporta chi siamo, che ci conosca veramente o meno. E allora dobbiamo sapere cosa fare, e soprattutto, cosa dire: perché sarà la nostra forza interiore, la nostra consapevolezza, la nostra identità a proteggerci. Shanà Tovà.