di Paolo Salom
I palestinesi sanno come rivolgersi al Lontano Occidente. Prendete gli attentati terroristici che, dopo settimane di relativa calma, sono tornati a insanguinare Israele: auto contro fermate dell’autobus, tentati accoltellamenti a Gerusalemme e altrove. Ovviamente, gli israeliani si sono difesi (ma guarda un po’) e i soldati, alcuni dei quali sono rimasti feriti, hanno sparato contro gli assalitori, uccidendoli. Cos’altro avrebbero dovuto fare? Cos’altro viene fatto, in giro per il mondo, quando un uomo si avventa armato di lame affilate contro guardie armate? Eppure, nel mondo all’incontrario dell’Anp, gli israeliani avrebbero dovuto mettere giù le armi, eventualmente calmare gli scalmanati e, magari (senz’altro più gradito), farsi ammazzare. Ecco come Nabil Abu Rudeina, portavoce di Abu Mazen, ha commentato gli avvenimenti di Gerusalemme e nei Territori: «L’uccisione dei (nostri) martiri indica che Israele vuole l’escalation e ignora gli sforzi politici e diplomatici in corso, volti ad uscire dalla situazione di stallo». E ancora: «Questi crimini – ha spiegato – sono la reazione di Israele agli sforzi internazionali».
Capito l’antifona? Mandano a “martirio” i loro sgherri e poi gridano al “complotto”. Qualche giorno prima, rispondendo alle accuse di Netanyahu che contestava la volontà palestinese di volere un futuro Stato senza nemmeno un ebreo sul proprio territorio (come peraltro registrato dalle cronache più e più volte), lo stesso Abu Mazen affermava come sia Israele «a fare pulizia etnica e a compiere deliberatamente uccisioni che l’hanno esposto alle critiche internazionali di tutto il mondo».
Questa volta, tuttavia, i dirigenti dell’Anp hanno fatto male i loro calcoli. Perché gli attentati e le violenze terroristiche che hanno insanguinato l’Europa negli ultimi mesi hanno restituito un po’ di capacità critica al lontano Occidente. Che per la prima volta sembra meno propenso a bersi le sparate dei palestinesi. E’ davvero così? Spero di non apparire troppo ottimista…