di Paolo Salom
[Voci dal lontano Occidente] C’è ancora posto per gli ebrei nel lontano Occidente? Gli avvenimenti seguiti alla tragedia del 7 ottobre in Israele hanno devastato anche le sicurezze di chi ha creduto alle parole “mai più” pronunciate all’indomani della Shoah. Oggi, dalle comunità ebraiche in Italia e ancor più nel resto d’Europa e (figuriamoci!) negli Stati Uniti, tracima un filo d’angoscia che si è risaldato nelle menti di tutti al terrore dei secoli passati, quando le cronache erano scandite da persecuzioni e pogrom.
Gli ebrei contemporanei hanno riscoperto il terrore dei loro avi, quando era chiaro che la loro esistenza era una questione temporanea soggetta alla tolleranza dei più. Che evaporava nell’istante in cui un bambino cristiano scompariva e la responsabilità era chiaramente dei giudei. Oppure quando un Paese potente perdeva una guerra e il motivo era immancabilmente degli ebrei cospiratori e traditori.
Ora, è vero che le istituzioni hanno saputo reagire con prontezza, si sono schierate dalla parte di Israele. Dunque perché tanta paura? È la realtà dei fatti ad alimentarla. Le piazze d’Europa, le strade d’America e d’Australia, si sono riempite di folle urlanti. Gli slogan uditi a Milano erano costellati di finezze quali “Israele assassino”, “Aprite i confini, vogliamo uccidere i sionisti e gli ebrei”. Tutto questo all’indomani di una strage orrenda e ingiustificabile di esseri umani, uomini, donne, vecchi e giovani, bambini e neonati cui è stata tolta la vita non da un razzo o da una bomba (di per sé incapaci di discernimento seppure non meno terribili), ma da altri esseri umani che definiamo “belve” perché nel vocabolario non si trova altra parola.
E qui entra in campo il “sì ma”. L’unico artificio retorico in grado di spiegare la reazione di moltitudini di individui che, a migliaia di chilometri di distanza, si uniscono idealmente alle piazze arabe infarcite di odio e volontà omicida. Il “sì ma” ci rimanda alla vittimizzazione secondaria per cui, quando una donna denuncia uno stupro, si cercano i motivi nascosti per i quali “in qualche modo se l’è cercata”. Agli ebrei si imputa, facilmente, di tutto: hanno in mano la finanza, manovrano i governi come burattini e, soprattutto, hanno “colonizzato” la Palestina strappandola ai legittimi proprietari. Qualunque spiegazione storica o razionale è superflua oltre che inutile. Gli ebrei non hanno diritto a nulla. Né ieri (se li hanno perseguitati ci sarà pur stato un motivo); né oggi (Israele commette crimini ogni giorno); né domani (ci aspettiamo una prossima soluzione definitiva alla questione ebraica). Tutto questo agisce sugli ebrei – tutti – andando a risvegliare pensieri smarriti nell’idea che il passato non sarebbe più tornato. Non è così, purtroppo. E nemmeno la vicinanza delle autorità e dei governi è capace di lenire questa sensazione. Perché, noi, qui, viviamo in democrazia (per fortuna). Ma la democrazia è fatta dai popoli, dalle opinioni della maggioranza. Si esprime con il voto.
La paura degli ebrei è concreta e legittima: cosa accadrà quando future elezioni dovranno decidere futuri governi? Quali voci verranno ascoltate dai candidati e dai partiti? Non è accademia. Sono pensieri angoscianti per chi sa di appartenere a una minoranza. Ricordiamo bene come l’attentato alla Sinagoga di Roma fu reso possibile dal clima terribile seguito all’invasione israeliana del Libano (1982) – magari mal pensata ma resa necessaria dai continui assalti terroristici che da lì provenivano – con manifestazioni che scorrevano urlanti davanti al Ghetto, in un caso trasportando a spalle una bara vuota, che presto si sarebbe riempita del corpo di un bimbo di due anni, Stefano Tachè.
Un’ultima considerazione sul “sì ma”, al ragionamento che attribuisce responsabilità a Israele per quanto accaduto a Sderot e nei kibbutz devastati dalle belve di Gaza. Con tutti gli errori possibili che si possono giustamente attribuire ai governi in carica a Gerusalemme, uno – fatale – appartiene all’Occidente tutto. È quello di aver consentito per decenni, all’indomani di Oslo (che illusione!), di lasciar istruire almeno due generazioni di palestinesi su testi che predicavano l’equivalenza tra gli ebrei e “cani e scimmie”; che insegnavano addizioni e sottrazioni a seconda della riuscita di un attentato contro un autobus o una pizzeria; che cullavano i bambini all’asilo su nenie armate di coltelli pronti a sgozzare coetanei al di là di una frontiera incapace di proteggere le vittime designate.
Era solo questione di tempo. Questo tempo è arrivato. Il lontano Occidente si volterà di nuovo dall’altra parte?