di Paolo Salom
[Voci dal lontano occidente] Yossi Klein Halevi sostiene, in un articolo pubblicato dal Times of Israel, che il 7 ottobre 2023 – giorno della peggiore strage di ebrei dalla fine della Seconda guerra mondiale – ha avuto termine l’era “post-Shoah”. In altre parole, si è concluso il periodo d’oro del giudaismo mondiale (lui fa cenno soprattutto a quello negli Stati Uniti): la piena uguaglianza, l’accesso alle arti e alle lettere, l’assenza di persecuzioni e, con l’indipendenza in Terra d’Israele, il ritorno alla Storia come libero popolo tra i popoli.
Sappiamo bene che questi ultimi 80 anni non sono stati comunque facili per gli ebrei, né in Europa né in Israele. Guerre, attentati, polemiche politiche. Tuttavia, questo bisogna riconoscerlo, nessuno di noi poteva immaginare il giorno in cui avremmo provato ancora una volta il timore di essere ebrei apertamente, il giorno in cui dichiararsi sionisti avrebbe sollevato un putiferio di riprovazione, se non di insulti.
Quel momento è arrivato. E in questo concordo con Yossi Klein Halevi: lo spettacolo offerto dalle università e dalle piazze americane è stato ed è tuttora sconvolgente. L’odio dimostrato così apertamente e senza filtri contro gli ebrei “in quanto tali” fa riflettere. Come fa riflettere l’imposizione dell’establishment (sì, di chi governa queste istituzioni dove si formano le élites) ai giovani e docenti di un’abiura (del sionismo, di Israele) per essere considerati conformi e accettabili nella maggioranza.
Dunque, se questo è vero, che cosa significa per noi, che viviamo nel lontano Occidente? Che cosa significherà per i nostri figli e nipoti? A un anno dal tragico attacco dei palestinesi di Hamas e dei libanesi di Hezbollah, voluto e sponsorizzato dagli ayatollah iraniani, è giunto il momento di riconoscere che la realtà intorno a noi è cambiata, è vero. Ma non significa necessariamente che la nostra vita nella Diaspora sia in un percorso senza vie d’uscita.
Lo abbiamo potuto constatare di persona lo scorso 7 ottobre, quando al Tempio Centrale di Milano le più alte autorità dello Stato, regionali e locali, le forze dell’ordine e semplici cittadini si sono stretti a noi al punto che in sinagoga non c’era spazio per tutti. Nonostante il freddo e la pioggia battente, centinaia di milanesi hanno ascoltato gli interventi, solidali con Israele e gli ebrei tutti.
È giusto riconoscere i pericoli quando si moltiplicano di fronte a noi. Ma è altrettanto giusto apprezzare il momento in cui ci viene tesa la mano da chi ha il potere di imporre il rispetto di diritti e legalità. In questo momento, se non tutta la politica, le istituzioni italiane sono con noi, riconoscono il nostro dolore e non si nascondono dietro frasi di circostanza. È un passaggio decisivo per la Storia dell’ebraismo in uno dei Paesi, l’Italia, appunto, che ospita alcune tra le comunità più antiche conosciute.
Ecco perché mi sento di cominciare questo Nuovo Anno fiducioso (nonostante la tragedia della guerra in Medio Oriente, una guerra non voluta che tuttavia è combattuta con calma e coraggio dai nostri fratelli israeliani) che riusciremo a superare la fine dell’era post-Shoah per aprirne una all’insegna del progresso, del successo, della serenità. Am Israel chai.