La Via della Seta passa da Israele? E se la Cina è vicina a Tel Aviv, che ne pensa il lontano Occidente?

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente] La Via della Seta passa da Israele? E se la risposta è sì, che ne pensa il lontano Occidente? Come è noto, i rapporti d’affari tra lo Stato ebraico e la Cina sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi decenni creando anche qualche incidente diplomatico (con gli Usa) quando è stato concluso, per fare un esempio, un accordo sulla gestione del porto di Haifa, dove transitano regolarmente navi militari americane. Il timore di Washington: esporre a sguardi interessati i propri segreti. La questione è certamente delicata. Così delicata che alla fine la privatizzazione dell’infrastruttura è stata dirottata nelle mani di un acquirente indiano, relegando i cinesi in un terminal dedicato ai container.
Problema risolto? Le dimensioni – e l’attitudine – di Israele non dovrebbero in verità suscitare troppi pensieri nei leader del mondo libero. In effetti, a ben vedere, affari e politica appaiono nettamente separati in questo contesto. Israele è strategicamente legata all’Occidente, l’alleanza con gli Stati Uniti è il cardine della sua sicurezza, e nessuno a Gerusalemme si sognerebbe di metterla in discussione. E poi, guardiamo ai fatti. Ogni volta che Israele è sotto accusa all’Onu (come sapete accade molto spesso), Pechino vota sempre contro, allineandosi a quanto si decide nelle (tante) capitali più ostili. Di più: di recente la Cina è stata la protagonista (diplomatica) del ravvicinamento tra Arabia Saudita e l’Iran, di cui è stretta alleata. Non certo una buona notizia per Israele.
Come al solito, quando si evocano problemi di condotta internazionale, il lontano Occidente pensa in primo luogo ai propri affari. Se Israele è considerata in tempi normali parte della “famiglia”, ogni volta che gli interessi divergono si grida allo scandalo. Ma la Cina è un problema in primo luogo per l’Europa intera, oltre che per gli Stati Uniti. Perché ha creato dipendenza economica, non esita a formulare ricatti finanziari quando si sente (anche solo potenzialmente) minacciata, ed è abile nel celare le sue reali intenzioni quando si atteggia a Potenza mondiale responsabile (vedi il caso dell’Ucraina e del sostegno alla Russia mascherato da “equidistanza”).
Vero è che nella sua Storia millenaria, la Cina – diversamente dall’Occidente o dal mondo arabo – non ha mai alzato un dito (o una legge) contro la comunità di ebrei che per lungo tempo ha dimorato entro i suoi confini. Un esempio è la comunità di Kaifeng, città dove ancora oggi molti cinesi rivendicano le loro antiche origini giudaiche. Questo perché in Cina la libertà di culto non è (quasi) mai stata un problema. I problemi, nell’immenso Paese, sorgono soltanto quando e se attraverso la religione si persegue un fine politico in antitesi con il potere centrale. Oppure si rivendica una qualche forma di libertà che, appunto, è giudicata eversiva (quasi tutte, per la verità). Dunque, per tornare al nostro tema, Cina e Israele possono fare affari senza disturbare il lontano Occidente, perché si trovano agli estremi opposti dell’immenso continente asiatico e perché a Gerusalemme conoscono molto bene i limiti entro i quali, in questi tempi di grandi cambiamenti, è possibile muoversi. Con buona pace di amici, alleati. E avversari.