Le responsabilità del giornalismo (anche) italiano nel perpetuare stereotipi e odio contro Israele

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano occidente] Un anno si chiude, uno nuovo si apre. Il mondo continua a girare inseguendo fantasmi. Vi faccio un esempio. Da gennaio si sono moltiplicati gli attentati contro civili israeliani, in Giudea e Samaria come a Gerusalemme e Tel Aviv. Accoltellamenti, sparatorie, auto lanciate contro inermi passanti. Decine di famiglie sono state gettate nel dolore e nell’angoscia. Spesso, se non sempre, gli autori – arabi palestinesi celebrati come eroi nelle strade delle loro città – sono stati arrestati o uccisi. Ci sono stati scontri armati tra l’esercito di Israele e i gruppi terroristici responsabili di questi atti codardi e inumani: perché assassinare un inerme all’improvviso non è altro che un gesto bestiale. Dunque, nel provare a reprimere questa ondata di attentati, i morti tra i nemici sono stati numericamente più alti. Qualche volta, nonostante tutte le precauzioni dei soldati israeliani, loro sì veri eroi, qualche civile incolpevole ci è andato di mezzo. Questo è quanto è successo: gli arabi palestinesi hanno compiuto attentati mortali e gli israeliani hanno risposto con precisione e responsabilità.
Nulla di diverso da quello che è accaduto per decenni e che accadrà, ahimè, ancora a lungo. Perché ve lo racconto? Perché riportando uno di questi episodi, il Tg3, ovvero un telegiornale finanziato con i soldi di tutti gli italiani, almeno di quelli che pagano il canone, ha spiegato che un “attentato avvenuto a Tel Aviv, dove un palestinese si è lanciato con la sua auto contro una fermata dell’autobus e poi è sceso brandendo un coltello per finire le persone che aveva investito, è stata una risposta all’operazione dell’esercito a Jenin”. Sì, avete letto bene, la giornalista – di cui fortunatamente non ricordo il nome – ha detto proprio queste esatte parole: un attentato contro civili inermi, in una strada di Tel Aviv, il coltello brandito contro persone che badavano ai propri affari, è stato messo sullo stesso piano di un’operazione dell’esercito contro miliziani armati responsabili di azioni atroci. È come se qualcuno, evidentemente in preda ad allucinazioni, spiegasse che la strage perpetrata in una scuola negli Stati Uniti “è una risposta alle azioni dell’esercito americano” in qualche oscura regione del mondo. Paragone forzato? Forse. Ma in quale altro universo si può mettere sullo stesso piano chi uccide esseri inermi e chi li protegge? L’odio nei confronti di Israele è qualcosa che ormai ha valicato ogni confine di decenza. Capisco che Al Jazeera, la tv satellitare pagata dal governo del Qatar, abbia dei pregiudizi e racconti gli eventi sempre in maniera distorta: è il loro mestiere. Ma per quale ragione su un canale della televisione di Stato italiana, un servizio pubblico ancorché viziato dalla politica, si arriva a distorcere i fatti con tanta spregiudicatezza? In Israele c’è un conflitto. È chiaro ed evidente a tutti. Ma non è certamente con queste parole vergognose che si può aiutare il pubblico a capire. Così si perpetuano gli stereotipi, i pregiudizi e l’odio antico quanto questa cosiddetta civiltà. Non mi stancherò mai di ripeterlo.
Shanà tovà a tutti voi.