di Paolo Salom
Prima i commenti. «Avranno effetti negativi sul terreno, infiammeranno le tensioni già accresciute con i palestinesi e isoleranno ulteriormente Israele a livello internazionale», ha affermato la portavoce del dipartimento di Stato Usa, Jen Psaki. Anche il portavoce di Federica Mogherini, l’Alto rappresentante per la Politica estera della Ue, chiede una retromarcia da parte di Israele «mettendo così fine alla espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Se sarà applicato, l’annuncio di Israele minerebbe ulteriormente gli sforzi mirati a raggiungere una soluzione a due Stati», si legge nella nota diffusa dal Servizio europeo per l’azione esterna. Le abitazioni, prosegue il comunicato, sarebbero illegali ai sensi del diritto internazionale e sarebbero un ostacolo per la pace.
Ora la notizia. Israele ha pubblicato un bando per la costruzione di 450 unità abitative in insediamenti già esistenti, la metà delle quali a est della barriera di separazione. In soldoni: una manciata di appartamenti e un hotel (a Maale Adumim) in zone che in un futuro vicino o lontano post-trattato di pace faranno comunque parte del territorio sovrano di Israele. Quindi? Quindi la reazione delle cancellerie del lontano Occidente (anche la nostra Farnesina ha emesso un comunicato analogo) fa capire quale sia la posizione a priori nei confronti dello Stato ebraico: non fate nulla, nemmeno ciò che è vostro diritto.
A nostro parere, queste posizioni vanno molto al di là della critica (legittima) delle azioni di un governo. Si tratta di un’ingerenza, in un momento estremamente delicato della storia di Israele, che, questa sì, diminuisce la propensione della controparte (i palestinesi) a siglare un accordo di pace che ponga finalmente fine a un conflitto secolare. Le motivazioni sono diverse: l’Europa, per bocca del portavoce della Mogherini, è preoccupata di mostrarsi “empatica” con i milioni di arabi che vivono sul suo territorio e che suscitano concrete preoccupazioni per i motivi che ben sappiamo. Gli Stati Uniti, invece, sono ansiosi di mostrare tutta la loro opposizione all’attuale primo ministro, Bibi Netanyahu (in pessimi rapporti personali con il presidente Obama), in vista delle elezioni di marzo.
In concreto, e sulla base del diritto internazionale (tanto caro all’Europa), Israele non esce dai limiti del lecito. La famigerata “linea verde”, linea armistiziale dal 1949 al 1967, non è mai stata riconosciuta come confine internazionale. Da nessuno, in primis dagli Stati arabi. E i Territori, catturati durante la guerra dei Sei Giorni, non sono mai stati una nazione sovrana: almeno dai tempi del Regno di Giudea. Dunque che significa tirare in ballo (a sproposito) il diritto internazionale solo quando è Israele a muoversi? Misteri del lontano Occidente…