Nelle università americane, fucina dei leader di domani, la lotta contro gli ebrei è arrivata a un grado altissimo di virulenza

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci da lontano occidente] Qualcuno potrà pensare (e magari giustamente) che io mi ripeta. Tuttavia, trovo che il grado di irrealtà diffusa nel lontano Occidente sia a un punto tale da meritare di essere raccontata: ancora una volta. Mi riferisco, naturalmente, alle prese di posizione anti-israeliane dei cosiddetti benpensanti (e auto nominati “difensori degli oppressi”) che evitano accuratamente di condannare con la stessa sicumera le azioni, queste sì irresponsabili e terroristiche, della Russia in Ucraina. Tanto per intenderci: Tsahal entra nel Territori amministrati dall’Anp per inseguire e arrestare i responsabili di sanguinosi attacchi in Israele (il più delle volte contro civili inermi), ne segue una sparatoria con miliziani di questa o quella fazione, e l’onere di eventuali morti e feriti tra i combattenti arabi, ovviamente, viene gettato tutto contro lo Stato ebraico.

Io davvero non riesco a capire come questi personaggi riescano a vedere il mondo così, suddiviso in compartimenti stagni che rimangono serrati e non comunicanti: alcuni sono famosi, vedi l’ex Pink Floyd Roger Waters o la modella Gigi Hadid e ancora attori di Hollywood come Susan Sarandon o Mark Ruffalo; altri meno ma non pochi, ahimè, sono ebrei.
Cambiamo scenario: non si sono accorti, ancora, questi signori della natura spietata della guerra in Ucraina? Quel Paese dell’Est Europa (non all’altro capo del mondo) è praticamente raso al suolo. Mesi di incessanti bombardamenti da parte dell’Armata russa. Missili e altri ordigni lanciati consapevolmente (ovvero: di proposito) contro obiettivi civili: palazzi, scuole, ospedali. E tutto quello che riesce a emergere dalle bocche dei soliti censori non è: “Putin sei un terrorista, fermati!”. Piuttosto: “Chi lo dice al presidente ucraino Zelensky che è ora di trattare la pace?”.

Ecco: queste stesse anime belle del lontano Occidente – e qui bisogna riconoscer loro una certa coerenza – sono ovviamente in prima linea quando si tratta di condannare i “crimini e l’apartheid dei sionisti”. Qualche esempio? Quando in uno scontro a fuoco muore un terrorista armato, ecco gridare all’“assassinio di un adolescente palestinese”. Quando da Gaza arrivano razzi a decine, silenzio. Quando Israele risponde, facendo attenzione a colpire soltanto i combattenti, strepiti di “genocidio”. O quando invece un giovane arabo di Hebron, che ha trovato rifugio e asilo a Tel Aviv perché gay, viene rapito e brutalmente ucciso dai suoi compatrioti, il silenzio è assordante.
Non funziona così. Il mondo è uno solo e non è accettabile questa assoluta ipocrisia. E non dovremmo essere noi a dirlo. Già, perché la verità dei fatti, quando esce dalla bocca (o dalla penna) di un ebreo, conta poco a dispetto di chi afferma che i media occidentali sono “controllati dai sionisti”.

Insomma, siamo alle solite. La campagna d’odio contro l’unico Stato ebraico rinato miracolosamente dopo duemila anni di esilio è incessante, scientifica, ricca di risorse (provate a riflettere: quanti megafoni antisemiti sono pagati per il loro “lavoro”?). Nelle università americane, fucina dei leader di domani, la lotta contro gli ebrei sembra arrivata a un grado di virulenza che avrebbe fatto sorridere Hitler. Non è una novità: quando ho frequentato l’ateneo di Venezia, qualche decennio fa, l’attivismo anti-israeliano degli studenti arabi era formidabile. Ora, qualcuno ha capito che la chiave della lotta contro lo Stato ebraico (che ovviamente “va distrutto”, nessuno pensa a un futuro di coesistenza in questi ambienti) è oltre oceano più che in Europa. E sta ripetendo la stessa macchina del fango.
Sta noi dunque resistere e continuare, senza mai stancarci, a denunciare la follia dell’odio antisemita.