di Paolo Salom
[Voci dal lontano Occidente]Vi è mai capitato di pensare che cosa sia l’antisemitismo, nel lontano Occidente, in questa nostra epoca? In fondo, dopo duemila anni di vita (e persecuzioni) nel variegato mondo cristiano; dopo la Shoah; e, finalmente, dopo il Concilio Vaticano II e le aperture al dialogo della Chiesa, a molti è sembrato che questo sentimento potesse essere finalmente archiviato insieme al resto della spazzatura della Storia. Non è stato così. E oggi, se dirsi apertamente “odiatori degli ebrei” è (quasi) impensabile, sappiamo bene che dichiararsi antisionisti è invece legittimo e anzi rivendicato come una medaglia sul petto dei “valorosi difensori” delle nuove vittime, gli arabi palestinesi. Anche qui: l’antisionismo è stato più volte smascherato; pochi tra noi hanno dubbi sul fatto che opporsi al diritto di Israele a esistere nella sua Patria storica non sia altro che un pregiudizio riservato ai soli ebrei, unico popolo al mondo che non avrebbe diritto all’autodeterminazione. Sorprendente? Nel lontano Occidente poco, riguardo gli ebrei, riesce a stupirci. E se andiamo a scavare, possiamo scoprire aspetti molto “politici” che aiutano a capire perché, proprio ora, l’antisemitismo sia in preoccupante ascesa quasi ovunque in Europa e anche negli Stati Uniti. Per parafrasare von Clausewitz, l’antisemitismo non è altro che la continuazione della guerra (agli ebrei), con altri mezzi. All’origine di questo fenomeno c’è la mai sopita volontà (peraltro autolesionista) di arginare il ruolo e l’influenza della cultura ebraica nella comunità delle nazioni. Certo, Israele – la sua incredibile storia di successo – è un punto focale, soprattutto per gran parte del mondo arabo musulmano. Ma anche nel lontano Occidente l’idea che un tale “corpo estraneo” riesca a prosperare – umanamente, socialmente, politicamente – appare a molti insopportabile. Ecco perché, a nostro avviso, le sirene dell’odio anti ebraico che arrivano dal Medio Oriente attecchiscono con tanta facilità in un’area geografica, la nostra, che pochi decenni fa ha sperimentato fin dove può arrivare l’odio razzista.
Un esempio? Nelle università americane chiedere una lettera di presentazione per fare un master in Israele è diventato un tabù: ci sono professori (!) che negano questo diritto in nome del “boicottaggio contro il razzismo dello Stato ebraico”. Immagino che fare una simile richiesta per Paesi come l’Arabia Saudita (dove vige un vero apartheid del genere femminile), il Pakistan o anche la Turchia non comporti le stesse limitazioni. Ma, quel che è peggio, per gli studenti ebrei che osino presentarsi come tali o, non sia mai, provare a difendere pubblicamente le ragioni di Israele, le conseguenze in molti campus oggi possono essere inquietanti: minacce, violenze verbali e anche fisiche. Tutto questo è stato portato in dote dalle migliaia di studenti musulmani cui sono state aperte le porte delle maggiori istituzioni culturali d’America (e d’Europa) con l’intento di aprire gli orizzonti di sapere e di conoscenza. Eterogenesi dei fini, si diceva una volta: il punto è che nello strato appena sotto la superficie del suolo ancora arde una brace antica. Riattizzare le fiamme è un gioco da ragazzi.