lo scrittore israeliano Avraham B. Yehoshua -da sempre identificato col movimento pacifista-, lancia oggi una curiosa provocazione: sempre in prima linea nello smontare luoghi comuni e schemi mentali, suggerisce che nel contesto della formula dei “due Stati per due popoli”, ben 100-120 mila coloni restino in pianta stabile nel futuro Stato di Palestina, pagandovi le tasse e votando per il suo Parlamento.
Yehoshua sostiene che le colonie sarebbero di fatto, ormai, una realtà -330 mila coloni in Cisgiordania, 200 mila israeliani a Gerusalemme est-, al cui confronto gli 8 mila di Gaza erano un risibile manipolo. E ammette che il loro sgombero oggi rischierebbe di scatenare una guerra fratricida. Come scrive Aldo Baquis, corrispondente dell’Ansa e de La Stampa, «Yehoshua riconosce che per una parte significativa dei coloni -quella più genuinamente religiosa- vivere sulle alture della Terra dei Padri (la biblica Giudea-Samaria) conta più che non far parte dello Stato di Israele: “Per loro è una questione molto profonda”, osserva Yehoshua, delineando l’idea di una esigua minoranza ebraica nel futuro Stato di Palestina. Ma -ha aggiunto con ironia- avrebbero anche un vantaggio materiale: le tasse dei palestinesi sono molto più blande di quelle israeliane».
Ottimista inguaribile, Yehoshua ipotizza che, con l’andar del tempo, si potrebbe creare in Palestina una certa cooperazione fra arabi ed ebrei, magari con l’aiuto della minoranza araba di Israele in veste di “anello di collegamento”. Scettici i politici, tra cui Ron Pundak, uno degli architetti degli accordi di riconoscimento fra Israele e Olp (1993), secondo cui lasciare coloni sul terreno significherebbe mantenere una miccia accesa.
Sul tema della pace e delle colonie, alla voce vibrante di A. B. Yehoshua troverete in questo numero del Bollettino, quella di numerosi altri scrittori israeliani, da Oz a Kenaz, da Frank a Shalev.
Fiona Diwan
In Copertina: Amos Oz al Teatro Franco Parenti di Milano
Foto: itratto di Ruggero Gabbai
Dicembre 2010
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