il Bollettino non ha mai voluto fare del tema antisemita l’argomento principale su cui puntare la propria linea editoriale; profondamente convinto che l’antisemitismo non debba mai essere il collante dell’identità ebraica e nemmeno il fulcro intorno a cui far ruotare l’informazione ebraica. Preferendo argomenti “positivi”, dialetticamente interrelati con il mondo contemporaneo e Israele. Insomma, optando per la costruzione di un’identità diasporica che non fosse frutto del pensiero negativo, del genere “il mondo ci odia, compattiamoci, stringiamoci a coorte intorno alle nostre radici e istituzioni”; nel qual caso, inibiti una volta di più nello sradicare quel ghetto interiore dentro cui, molti di noi, abitano ancora.
Ma stavolta non è proprio possibile. Davanti ai morti della scuola ebraica di Tolosa, al pericolo di un attentato corso dalla Sinagoga centrale di Milano, la cronaca ci parla di una ricaduta nella malattia storica dell’Europa: l’antisemitismo. Che, dopo la Seconda Intifada, ha rialzato la testa e sta facendo ammalare di nuovo Francia, Germania, Spagna, Italia… Tanto da parlare di una “nuova giudeofobia” e constatare quanto “l’antisemitismo sia diventato politicamente corretto in certi ambienti intellettuali”, come ha detto Roger Cukierman del Consiglio delle istituzioni ebraiche di Francia. Perché è inutile illudersi: i morti di Tolosa sono la risposta avvelenata dell’incapacità europea di guarire l’antico demone antigiudaico -e le ferite della Storia-, prendendo posizione, non tanto nei confronti del terrorismo, quanto sulla legittimità di Israele a esistere e degli ebrei ad essere esattamente come tutti gli altri, cittadini francesi, italiani, tedeschi come gli altri. Punto.
Qualche numero? Le cifre degli atti razzisti e antisemiti in Francia sono aumentati del 150 per cento nell’ultimo anno, 389 attacchi antisemiti nel 2011, in media più di uno al giorno. Ma la cosa più grave è questo minimizzare, è questo credere che “i pazzi ci sono dappertutto, siete paranoici, non ce l’hanno solo con voi ebrei!”, è il ridimensionare la portata simbolica dei delitti come risultato di un veleno permanente e sottotraccia, che diventa più violento se si veste di antisionismo. È questo non dare mai credito alla lettura antisemita, come è successo con il rapimento del povero Ilan Halimi, spacciato per “delinquenza”. Penso alla dolorosa domanda che si è posto lo scrittore Marek Halter: gli ebrei sono ancora il capro espiatorio della Storia? Ebbene, la risposta è tristemente e ancora, sì.
Fiona Diwan