parlando di Scuola, tema di questo numero, molte sarebbero le riflessioni da fare. L’elogio degli insegnanti che la tecnologia non può sostituire e che troppo spesso vengono lasciati soli davanti alla tracotanza e all’ingratitudine di genitori e alunni pretenziosi; il ruolo dei genitori che di fronte ai primi ostacoli scolastici, preferiscono spianare la strada ai figli e evitare gli inciampi, magari cambiando scuola o sezione; e poi i metodi di trasmissione del sapere, l’arte di insegnare… O dell’importanza dello studio mnemonico gettato alle ortiche da decenni e fatto passare per nozionismo, finalmente rivalutato. Come dice la psico-pedagogista Silvia Vegetti Finzi, “è prezioso. Gli archivi telematici costituiscono certo una memoria virtuale che rende superflui molti apprendimenti nozionistici. Tuttavia, la memoria di poesie e brani letterari costituisce un viatico per la vita. Molti superstiti a situazioni estreme, come i lager nazisti, ricordano di essere sopravvissuti grazie alla rievocazione di letture classiche, l’Iliade e l’Odissea mandate a memoria sui banchi del liceo”.
Di nuovo da dire sul tema c’è che, -dopo la sbornia tecnologica degli ultimi anni, dopo le promesse dei mondi globalizzati e multimediali-, sembra farsi largo una nuova forma di Umanesimo. Un termine che torna in auge e che sta a indicare molte cose: Umanesimo come reazione a una pedagogia edonistica spesso troppo semplificatoria e che da anni banalizza e tecnicizza il sapere. Umanesimo come urgenza di tornare ai contenuti dello studio, non limitandosi solo ai metodi. Umanesimo come elogio della relazione formativa maestro-allievo, elogio dell’arte di trasmettere e del diritto all’errore. Un bravo insegnante, racconta il pensatore George Steiner, si riconosce da come reagisce quando inciampa entrando in classe. Farà finta di nulla, mantenendo un aplomb inglese? Reagirà stizzoso alle risa degli studenti? Impacciato, nasconderà il suo imbarazzo? O invece userà l’inciampo e, ridendo, spiegherà ai ragazzi che la posizione dell’insegnante non è al riparo da incertezze e cadute? E che lo studio non è privo di inciampi, anzi, che è proprio questo, come il fallimento, a rendere possibile la ricerca della verità? Ci sono professori che separano il sapere dalla vita, offrendo agli alunni nozioni nate morte. Altri preferiscono coltivare la passione della claudicanza.
Ricordo il mio professore di filosofia alla Statale di Milano, Mario Dal Pra: commentando con il consueto rigore la logica di Hegel, spesso alzava gli occhi al cielo e diceva: “qui davvero, non possiamo più seguire Hegel: chissà cosa voleva dire, chissà cosa avrà visto?”. Ecco, il professore non aveva paura di inciampare nel testo, né era imbarazzato nel criticarlo. Sapeva che questo inciampare avrebbe autorizzato noi studenti a pensare con la nostra testa, e cioè a cercare un modo personale di scontrarci col testo, senza crearci falsi idoli. Umanesimo quindi, come elogio dell’inciampo.
Fiona Diwan
La foto di copertina è di Dalia Sciama