c’erano anche gli ebrei di Istanbul in Piazza Taksim, accanto alla Turchia scesa in strada per non far morire un parco, per la laicità dello Stato e la libertà di parola. Intergenerazionale, interreligiosa, interclassista, apartitica e trasversale, la piazza turca ha visto ebrei e musulmani scendere fianco a fianco, marciando insieme a ricchi e poveri, suocere e nuore, nonne e nipoti, per opporsi alle misure liberticide di Erdogan.
Davanti a un caffè, un’amica turca della Comunità di Milano mi racconta come sua cugina Ruthi, 50 anni, abbia portato per giorni e giorni coperte e panini kasher ai propri figli per strada, durante le proteste. «A Istanbul ho molte amiche sia ebree che islamiche: sono state soprattutto le donne ad avere più coraggio, scegliendo di esprimersi liberamente su Facebook, senza paura della censura e di eventuali schedature», mi dice Dorin, l’amica turca. E non a caso si chiama Cenk Levi il primo civile arrestato in Piazza Taksim, ebreo e portavoce di Greenpeace in Turchia, sceso innocentemente a protestare contro l’abbattimento di una manciata di alberi e finito in gattabuia (vedi articolo di Mara Vigevani a pag. 12). Ma al di là della partecipazione del mondo ebraico, quello che sembra diventare preoccupante è il ricorso a uno dei vecchi arnesi dell’antisemitismo di sempre, ovvero il tema del complotto ebraico e della lobby finanziaria che, secondo alcuni quotidiani, si nasconderebbe dietro alle sommosse. Nel frattempo, c’è già chi, da Facebook, sta intimando il tutti a casa: non per pavidità ma come male minore, perché, sostengono molti, tira aria di golpe e Erdogan, non potendo più esser rieletto dopo tanti mandati, non aspetta altro che disordini pubblici per avere l’opportunità di far partire un colpo di Stato.
Dalla Turchia all’Iran; la situazione, per Israele e per il mondo ebraico, non è rosea nemmeno lì. Lungi dal sancire una svolta moderata, l’elezione di Rohani come premier dell’Iran confermerebbe invece la linea di continuità nel perseguimento della bomba atomica (vedi l’articolo di Giulio Meotti a pag. 13).
Anche se sono più spine che rose, qualche buona notizia tuttavia c’è. Dall’Italia è partito il primo viaggio interreligioso per il dialogo ebraico-cristiano, un gruppo di 100 persone, tra cui cardinali, gesuiti, rabbini e molti esponenti del mondo cattolico, per visitare un’Israele spiegata da un punto di vista ebraico (vedi articolo a pag. 20). Un evento piuttosto eccezionale, un unicum. Un cammino di comprensione reciproca che può davvero portare lontano, mettendo in moto un’energia di pace che, parafrasando Herzl, «se vorrete, non sarà un sogno».
Fiona Diwan