“dimenticare vuol dire lasciare dietro di sé una parte di noi”, dice la canzone Neve diventeremo che i tre Fratelli Settegrani, una band di Como, ha composto, girando il video nel campo di sterminio di Buchenwald. La canzone è dedicata a un amico di famiglia, uscito vivo da laggiù dopo torture e stenti, e a tutti gli ebrei in fuga che passavano proprio dai villaggi di confine con la Svizzera -Albiolo e Bissarone- dove i tre ragazzi della band abitano. Perché cantare è un modo vivo per nobilitare la memoria, dicono. E così, il gruppo insegna musica ai bambini e ai ragazzi, e cerca di raccontare la Shoah in tutte le sue sfumature, appassionando i giovani con le canzoni che ne hanno raccontato la tragedia e le emozioni. Forse è proprio per questo, per la loro capacità di coinvolgere e per la poesia delle loro musiche e parole, che il Presidente Giorgio Napolitano ha voluto onorarli per il loro impegno, ricevendoli al Quirinale: perché il rituale della memoria, ha detto Napolitano, deve saper rinnovarsi e trovare nuove forme di comunicazione per restare vivo e vibrante. Come è accaduto anche quest’anno grazie alla soprendente mostra Il Filo dimenticato nel carcere di San Vittore a Milano, una mostra capace di coniugare presente e passato, memoria e attualizzazione di ciò che hanno vissuto le generazioni prima di noi.
Le elezioni in Israele si sono svolte da pochi giorni, a Bollettino già chiuso. Al di là della coalizione di governo che andrà a guidare il Paese, l’esito sarà determinante per la linea che ne verrà fuori circa gli insediamenti e il dialogo con la controparte palestinese. Come ci fa capire il Presidente Shimon Peres che, con il suo Centro Peres per la Pace si batte da 17 anni per creare un “dialogo dal basso”, sostenendo che, piaccia o no, è dalla cruna dell’ago della pace coi palestinesi che si dovrà passare. Una voce isolata la sua, sebbene importante, forse l’ultima della vecchia guardia: poiché con Ariel Sharon in coma e Ehud Barack fuori dalla vita politica si interrompe la stirpe dei combattenti in politica. Scomparsa la vecchia elite laica, oggi abbondano candidati giornalisti (Yair Lapid, Shelly Yehimovich, Merav Michaeli) e i nazionalisti religiosi delle kippot srugot, rappresentati da Naftali Bennett (a pag. 10 un suo ritratto). Un’ascesa, questa, figlia della disillusione sui negoziati di pace coi palestinesi e dello sgomento circa l’esito islamista delle rivolte arabe. Che, come sottolineano gli opinionisti, “promette una Knesset che sarà la più religiosa della storia israeliana”. E un cambio radicale di rotta nelle relazioni con gli arabi: non più land for peace, -pace contro territori-, come accadeva fino a ieri, ma peace for peace, – se vuoi la pace dammi la pace-. Viceversa, guerra sia.
Fiona Diwan