la velocità con cui si stanno propagando i miasmi dell’antisemitismo richiede risposte rapide, chiare, pressanti quanto pressante è il contesto che le giustifica. La Germania è scesa in piazza a Berlino, alla Porta di Brandeburgo, il 14 settembre scorso, con una imponente manifestazione contro l’antisemitismo che ha visto Angela Merkel pronunciare un discorso che entrerà nei libri di storia: «L’ebraismo è parte della nostra identità. Mai più odio contro gli ebrei. L’antisemitismo è una minaccia per tutti…». Parole che sono un’assunzione di responsabilità non solo verso il passato tedesco quanto verso il futuro europeo, pronunciate da una cancelliera intransigente e reattiva di fronte ai segnali delle nuove intolleranze che stanno divorando l’Europa e che mostrano il fallimento del modello di società multiculturale in cui tutti avevamo creduto.
La Francia, ben lontana dall’essere altrettanto sveglia, sembra aver smarrito anticorpi e lucidità, assopita dalla ninna nanna del politicamente-corretto (vedi articolo a pag. 10), impaurita dalle banlieu islamizzate pronte alla guerriglia urbana, e finendo così per riportare le lancette dell storia al tempo dell’Affare Dreyfus. L’Italia non è immune da questo precipizio degenerativo della critica anti-israeliana negli stereotipi antisemiti mascherati da antisionismo. Sembra che si sia disintegrata la frontiera che divide la critica allo Stato di Israele e l’accusa indiscriminata agli «ebrei».
La guerra di Gaza sembra segnare uno spartiacque. Le mura della sinagoga di Vercelli sono state ricoperte da scritte in cui si accusano «gli ebrei» di esser complici del massacro di Gaza. Ogni critica, anche la più estrema, alla politica dello Stato di Israele sembra essere diventata legittima. È solo da poche settimane, da quando l’Isis si è messo a tagliar teste in mondovisione e da quando l’Occidente ha deciso di mandare droni e aerei da caccia in Iraq, che le bocche tacciono. Non si sono viste “flottiglie” umanitarie correre in aiuto di cristiani assassinati, caldei o yazidi che fossero.
E c’è qualcosa di scioccante in un’Europa in cui musei, oratori, scuole ebraiche sono sotto tiro del jihadista dietro l’angolo, in cui i cortei sfociano negli assalti ai quartieri ebraici (è accaduto a Parigi), in cui vengono assaliti con minacce e ingiurie i rabbini, come è successo in Olanda, e più nessuno osa indossare la kippà. Una deriva antiebraica e giudeofobica a cui non eravamo preparati. Eppure, come ha detto Ronald Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, «Noi non siamo impotenti. Fermare l’abominio in Iraq, fermare questa ondata di morte si può e si deve», significa salvare loro e, insieme a loro, noi stessi.
Fiona Diwan
In copertina: “La fuga degli ebrei dalla Francia”, elaborazione grafica di Dalia Sciama.