imparare a vedersi con gli occhi degli altri non è semplice. Percepiamo spesso noi stessi con imbarazzo o inadeguatezza, non sappiamo cogliere i nostri lati positivi e gli aspetti accattivanti del nostro modo di essere, di cui siamo inconsapevoli. Succede a tutti. Uscire da sé per guardarsi con lo sguardo degli altri è un’operazione innaturale. Eppure, quando accade, può rivelarsi un’esperienza sorprendente. E questo vale sia per il piano personale che per quello collettivo, avviene sia agli individui che ai gruppi. È accaduto a me quando mi è capitato tra le mani il report sulla riscossa (revival) degli ebrei italiani pubblicato un mese fa su Tablet, il prestigioso web-magazine americano: da qui siamo partiti per l’inchiesta di copertina pubblicata su questo Bollettino (pag. 10). Leggendo, la mia prima reazione è stata di stupore e incredulità: ma è di me che stanno parlando in termini così entusiastici? È proprio delle nostre Comunità, – minacciate dal calo demografico, in perenne deficit economico, colpite da raggiri e truffe -, che si sta scrivendo? O si trattava della solita storia del bicchiero mezzo pieno o mezzo vuoto? Davvero qui si vive così bene rispetto al resto d’Europa, Italia come paradiso ebraico, un Eldorado diasporico tra i più interessanti del momento? Più riflettevo, più mi dicevo che forse era vero: in effetti, il giornalista Michael Ledeen di Tablet aveva colto un aspetto che a noi sfuggiva per eccesso di contiguità e di osmosi. Lui (e molti altri con lui), da fuori, si accorgeva di cose a noi invisibili: facendoci capire quanto a volte sia importante scegliere un’altra narrazione di sé, imparare a immaginare un altro racconto di sé per poter generare un vero cambiamento. Non è proprio l’ermeneutica ebraica che insegna da sempre quanto siano importanti le riletture, tentare un’altra narrazione, re-interpretare il testo per coglierne l’effettiva grandezza? E così, a volte, occorre rileggere il testo della nostra vita, riscriverlo per cambiare passo. Ho scoperto dunque che anche l’avventura odierna dell’ebraismo italiano poteva essere guardata in un altro modo, meno vittimistico e problematico, più dinamico e ottimista. Finendo così per dare a Cesare, quel che è di Cesare.
C’è uno straordinario scrittore francese, Romain Gary, di cui si celebra in questi giorni il centenario della nascita. Era ebreo, nato a Vilnius, cambiò numerosi pseudonimi, passò alla storia letteraria col nome di Emile Ajar quando scrisse i due bellissimi romanzi La vita davanti a sé e La promessa dell’alba. Camaleontico e proteiforme, Gary (ma non è il suo vero nome), amava cambiare continuamente il racconto che faceva di se stesso, giudicando che solo una diversa narrazione è davvero epifanica, e che solo lo sguardo degli altri, alla fine, ci rivela a noi stessi.
Fiona Diwan