in questi mesi ce l’ho con la Francia e mi sento come un’amante tradita, ingannata dal Paese delle idee “chiare e distinte”, apostolo dei droits de l’hommes. Per questo voglio raccontare due storie che corrono parallele e lasciano senza parole.
È accaduto alla Sorbona, nella più antica università di Francia, Facoltà di Legge; e accade sulle pagine web della più illustre rivista medica del mondo, The Lancet. Qualche settimana fa uno studente ebreo bussa agli stand del “Salone Erasmus” alla Sorbona, in cerca di una partnership con università israeliane, nella speranza di compiere laggiù parte del percorso di studi all’estero richiesto dall’ateneo francese. Sorpresa: si vede proporre uno stage all’università palestinese di Birzeit e nessuna partnership con università israeliane, nemmeno quelle di eccellenza, il Technion, Bar Ilan, la Hebrew University… Il ragazzo è incredulo, chiede di guardare meglio sul video…, nulla, nessun accenno a Israele. Ignorate le punte di diamante della ricerca scientifica, nessuna partnership con atenei che sono il terreno fertile di tanti Nobel, ignorato il fatto che le università israeliane intrattengano rapporti con tutti i grandi templi del sapere. Tutti meno la Sorbona. Partito preso? Negligenza? Boicottaggio? Certo, tutto parla di un ostracismo praticato ma non dichiarato e men che meno reso pubblico. Episodio questo che la dice lunga su una Francia ormai ostaggio dell’ipocrisia del politically correct, sedotta dal bon ton di un multiculturalismo senza ebrei.
Che dire di un antisemitismo intellettuale e accademico che sfrutta un consenso facile e già collaudato, quello degli eterni paladini delle cause più mediaticamente redditizie? Qualcosa di ancora più grave è accaduto con il mensile anglosassone The Lancet, tribuna eccelsa di dibattito medico-scientifico. La rivista pubblica sul suo sito web, quest’estate, una lettera calunniosa in cui si criminalizza Israele, accusandolo di atrocità di guerra e misfatti contro l’umanità. I firmatari reclamano a gran voce un boicottaggio di Israele, ivi incluse le sue Università. La lettera non fa menzione né della pioggia di razzi, né dell’uccisione dei tre ragazzi in Cisgiordania, e omette di parlare dei tunnel, eccetera… Lo scandalo monta: la generale levata di scudi del mondo scientifico contro l’evidente faziosità della lettera fa vacillare il direttore Horton, che tuttavia si rifiuta di rimuovere dal sito il documento, anche dopo l’invito – accettato -, di recarsi in Israele per constatare di persona. Oggi, una petizione di novemila scienziati di tutto il mondo chiede la testa di Horton e le sue dimissioni. La comunità scientifica israeliana è costernata e avvilita: forse perché The Lancet è stata davvero una grande rivista o forse perché quest’apologia di antisemitismo è un’inspiegabile pugnalata. La fine di un’illusione, la spia di un’amara incapacità: quella di percepire che l’odio europeo verso gli ebrei viene da molto lontano e che proprio per questo non riesce a finire. Un odio che nulla ha a che vedere con quello che Israele dice o fa. Abbiamo la Francia a ricordarcelo, con le sue cronache di ordinario antisemitismo.
Fiona Diwan