n° 5 - Maggio 2016

Ebrei a Milano 150 anni di Storia

2016
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n° 5 – Maggio 2016
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Caro lettore, cara lettrice,
«il passato è una terra straniera: fanno le cose in modo diverso laggiù», scriveva lo scrittore Leslie P. Hartley negli anni Cinquanta, una celebre citazione tratta dal suo romanzo-capolavoro Messaggero d’amore (Nutrimenti editore), tradotto ex novo di recente. Con uno sguardo dall’alto o semplicemente voltandoci indietro, spesso accade a ciascuno di noi di non riconoscere chi siamo stati, persi nelle lontananze di un passato che non ci appartiene più, appunto una terra straniera, anni luce distanti dal nostro Io di adesso. Se questo vale per la nostra verità esistenziale ed individuale, vale ancora di più per le identità collettive: se provassimo a planare a volo d’uccello sui decenni passati della Storia della Comunità ebraica di Milano (e sui suoi 150 di vita), la sensazione di lontananza e straniamento potrebbe, a prima vista, risultare fortissima. Ma volando più in basso, avvicinandoci a eventi e snodi storici di ieri, potremmo cogliere tracce e mappapature indimenticate ancorché non immediatamente visibili, e che tuttavia saprebbero parlarci ancora, una tessitura comune e più innervata nel nostro presente di quanto le apparenze lascerebbero supporre.
È questa l’evidenza che si coglie al volo leggendo l’interessante saggio che l’economista Rony Hamaui dedica ai 150 anni di storia del mondo ebraico lombardo con Ebrei a Milano – Due secoli di storia tra integrazione e discriminazioni (Il Mulino), un ebraismo-patchwork fin dalle origini, una città in cui confluirono, nella prima metà dell’Ottocento, gli ebrei di «60 località italiane e 60 diverse località straniere», in una molteplicità di voci e differenti culture d’origine, un’identità-mosaico che accompagnerà l’intero ebraismo milanese fino ai giorni nostri, diventando parte del suo DNA (dando il titolo al nostro sito Mosaico). A ondate, approderanno a Milano gli ebrei ashkenaziti in fuga dal Terzo Reich, poi, nel Dopoguerra, i rifugiati dai lager e, infine, l’ebraismo sefardita dai paesi arabi: «il punto di forza della Comunità ebraica erano la natura cosmopolita e l’alto livello d’istruzione dei suoi membri, caratteristiche che hanno accompagnato l’intera storia dell’ebraismo milanese… le energie si concentravano su campi più inclini all’imprenditoria, alla finanza, alle libere professioni, ma anche alla cultura, al giornalismo e allo spettacolo… Milano si è poi dimostrata una delle città più tolleranti o almeno uno dei luoghi in cui gli ebrei si sono sentiti relativamente più al sicuro», scrive Hamaui, spingendo il suo racconto fino a oggi.
Spesso, chi scrive lo fa per rimettere ordine nel caos del mondo in cui si vive. Lo fanno i romanzieri, lo fanno gli storici o chi riflette sul proprio tempo. Lo fece, tra i tanti, il padre della letteratura israeliana, S. Y. Agnon, che, in equilibrio tra il mondo yiddish-diasporico della propria infanzia e la realtà sionista dell’Yshuv dove viveva, tentò di rimettere ordine nel caos della propria identità, scissa tra radici religiose e tentazioni secolari. Un altro scrittore, A. B. Yehoshua (che adora Agnon e ne conosce a menadito la produzione), dice di aver voluto fare lo stesso con la propria narrativa. Lo fanno gli storici o i grandi giornalisti, voler mettere ordine nella materia scomposta del proprio presente o del passato prossimo. Lo ha fatto anche Rony Hamaui cercando di raccontare la storia degli ebrei della sua città, affinchè il passato non sia più una terra straniera. E perché i suoi figli, in questo passato, possano ritrovarsi e riconoscersi.

Fiona Diwan