Caro lettore, cara lettrice,
c’è un libro post-apocalittico, superbamente profetico, profondamente ebraico, che viene ripubblicato oggi, dopo 35 anni: Dio mio, grazie, di Bernard Malamud (Minimum Fax). Scrittore adorato dalla mia generazione e caduto in un oblio immeritato, autore troppo sobrio e asciutto per poter piacere al tempo edonista e frivolo dei due decenni a cavallo del nostro Millennio, Malamud narra la storia di un Dio furibondo a causa della inemendabile conflittualità tra gli uomini, il quale manda un secondo Mabul, un altro Diluvio; per errore resta in vita un piccolo ebreo, l’ultimo sulla terra, e uno scimpanzè “cattolico”, nuovi Robinson Crusoe e Venerdì.
La parte più comica e surreale di questo romanzo “biblico”, è la discussione costante e serrata tra il protagonista Cohn e Dio, che ripropone lo schema del dialogo biblico tra Dio e Adamo, Giobbe, Abramo, Mosè… Malamud era convinto che il compito dello scrittore fosse impedire all’umanità di autodistruggersi, per questo nel suo ultimo romanzo si improvvisa profeta. Così Malamud ci conduce per mano negli abissi della profezia per riportarci subito dopo sulle vette della nostra grandiosa unicità umana. E lo fa come pochi romanzieri sanno fare. Spingendoci verso una domanda: che cosè la capacità profetica? Cos’è ciò che ci consente di vedere oltre, la capacità di intuire un futuro possibile, fausto o infausto che sia? Dimostrando una certa impazienza rispetto ai tempi lunghi prospettati dal messianesimo, l’ebraismo ha sempre manifestato un radicale e ostinato desiderio di intervenire nel presente prospettando un mondo migliore su questa terra, senza rinviare all’Olam abbà ciò che posso realizzare qui e ora grazie a un comportamento pio, virtuoso, etico e osservante del giusto agire. Un futuro desiderabile, chiamato a riscattare il presente. Un’idea, questa, in sintonia con la concezione ebraica e l’ebraismo, entrambi fornitori ufficiali di utopie e palingenesi sociali per quel mondo occidentale di cui, da circa due millenni, gli ebrei sono parte attiva e pensante (socialismo, comunismo, avanguardismo, chassidismo, falsi messia…, utopie profetiche che hanno un copyright spesso ebraico).
«…Abbiamo camminato sul filo delle grondaie, gli occhi fissi sul rammendo delle nostre dita, abbiamo attraversato l’inverno eroico di un tempo che si oppone alla vita giocoliera…”, scrive Milo de Angelis, il più grande poeta italiano contemporaneo, in Tutte le poesie 1969-2015, Mondadori. Le sue parole trovano un’eco nello slancio profetico-mistico di una scrittrice che non ebbe il tempo di diventarlo perché morì ad Auschwitz a 29 anni, Etty Hillesum, nelle sue folgoranti Lettere (Adelphi): «La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo, senza riuscire a spiegarlo agli altri». Un inno alla bellezza e alla vita, la ricerca dell’umano nell’inumano che circonda ogni cosa: pagine di Diario che irradiano tenuta morale, quella di una ragazza che offrì la sua forza e il suo sorriso a chi ne aveva bisogno. Etty scelse di andare di sua spontanea volontà nel campo di Westbrok insieme ai prigionieri, gli amici, la famiglia. Ecco: leggere Etty Hillesum, Bernard Malamud e Milo De Angelis, potrebbe essere il piacere (e il compito), più importante di questa estate.
Fiona Diwan