Una start up che, in stile Foodora, consegna a domicilio cibo kasher.
Un “bus solidale” con docce mobili per i senzatetto. L’idea di una placca domotica gestibile da smartphone. Sono solo tre esempi di progetti utili e originali nati da ex studenti della Scuola Ebraica. Piccoli imprenditori crescono
Caro lettore, cara lettrice,
la cronaca recente ci riporta una storia di coraggio e di infamia. È la vicenda di Jonas Noreika, considerato un eroe nazionale della Seconda Guerra mondiale, eroe della libertà e della resistenza in Lituania che guidò la rivolta antisovietica nel 1941, prima dell’arrivo dei nazisti, celebrato personaggio dell’epos nazionale con tanto di statue, placche di bronzo sparse per il Paese che si rivela oggi essere stato uno dei più brutali ed efferati massacratori di ebrei, in parte responsabile della distruzione del 95 per cento dei 200 mila ebrei lituani che vivevano da secoli nel Paese prima dell’arrivo dei nazisti. Ciò che rende questa storia particolare è che non solo il disvelamento accade oggi, nel 2018, ma che a squarciare il velo sia stata la nipote dello stesso Noreika, una giornalista e storica dilettante, Silvia Foti di 57 anni, americana, la quale volendo ricostruire la storia di famiglia e frugando negli archivi di stato lituani, si imbatte nella sconvolgente scoperta dell’immane quantità di ordini firmati dal nonno ai danni degli ebrei. Inoltre, sempre negli archivi, la nipote scopre che il nonno, il “generale Tempesta”, questo il nome di battaglia di Noreika, istruiva i soldati su come portare gli ebrei nei boschi per far loro scavare le fosse, e poi denudarli e ucciderli. In seguito, egli stesso disponeva la requisizione delle case, dei mobili e la loro distribuzione tra i soldati o i lituani ariani. Così, con coraggio, la nipote scrive un libro che nessuno accetterà di pubblicare nei paesi baltici, rende nota la storia, riceve per questo minacce di morte e decide di non mettere più piede nella patria avita. Al di là del fatto di cronaca, la vicenda è interessante perché ci riguarda; non solo come ebrei o per via della memoria della Shoah; ma perché ci sono in ballo il coraggio, le nostre relazioni famigliari, l’identità perturbante di certe genealogie infami, quando sei figlio o nipote di farabutti, di criminali, di chi fa il Male; c’è in ballo il desiderio di giustizia, la vita in sé quando viene a contatto con la vita degli altri, il pericolo di cadere nel buio del corpo a corpo con le parti oscure della nostra famiglia. E che solleva domande eterne. Dov’è che si nasconde il nostro personale “dio del massacro”, come lo chiama la scrittrice francese Yasmina Reza? Come e quando si impossesserà di noi? Ci sono persone che entrano nel male a passo di danza, un ingresso lieve, un procedere di soppiatto che non declina subito le proprie generalità ma con circospezione svela le proprie intenzioni come si calano le carte a poker, una alla volta, con lentezza e un sorriso breve sul viso. Altre volte si entra nel male con passo marziale, altre volte con passo distratto, per debolezza e senza determinazione, per indifferenza. Non sempre e non necessariamente il Male si produce con aggressività esibita e distruttiva. Etty Hillesum scriveva di voler essere un balsamo per le molte ferite. Da grande mistica, sapeva qualcosa che ci riguarda tutti, anche noi, ben più prosaici di lei: che il dolore provato e vissuto cura il dolore degli altri, fa capire che c’è sempre una possibilità, una mano tesa, e che esiste il bene a patto di saperlo perseguire, di volerlo desiderare e cercare con determinazione, a discapito delle piccole infamità a cui non sappiamo resistere, condannati dalla coazione a ripetere. C’è una parte oscura, qualcosa che teniamo a bada.
L’ebraismo dice che il più grande regalo di Dio all’uomo è lo Yetzer haRà, l’istinto al male, perché è ciò che lo rende diverso e gli dona la possibilità di acquisire la coscienza di sé, dei propri atti, di guardarsi e di riparare. La parte oscura è ciò che ci fa distruggere i rapporti, chiudere le discussioni con i figli senza ascoltare, ciò che ci impedisce di capire i nostri famigliari e le persone che più amiamo perché all’improvviso un vetro ci separa. Il demone meschino, la parte oscura, l’indicibile, da dove arrivano? Dietro ogni infamia c’è un’altra infamia, una paura, un bisogno, un diritto che non è stato rispettato. Ma esiste la riparazione, esiste, ad esempio, una nipote che, per poter continuare a vivere, davanti all’infamia di un nonno, riesce a operare un tikkun famigliare liberatorio. E così a salvarsi.
Fiona Diwan