Ecco chi guiderà la nostra Comunità. Ha vinto la lista Milano Ebraica che manda in consiglio 10 candidati.
Il Presidente Milo Hasbani: «Dateci fiducia, siamo tutti impegnati per la Comunità, per i “vicini” e per i “lontani”».
Wellcommunity, con 9 eletti, siederà all’opposizione
Caro lettore, cara lettrice, è stato eletto pochi giorni fa il nuovo Consiglio della Comunità che resterà al governo per i prossimi quattro anni e a cui facciamo tutti i nostri migliori auguri (vedi pag. 28). Auguri ispirati alle nobili tradizioni dell’arte del governare. E a un duplice concetto filosofico: quello dell’Aretè della filosofia greca e quello dello Shvil haZaav, ispirato al pensiero di Maimonide, ossia la via aurea del “giusto mezzo”. Nel mondo della Grecia classica, l’idea di Aretè rimandava alla virtù nel perseguire il Bene comune, all’arte del buon governo, al vigore morale e alla forza d’animo che, adottata nella propria vita privata, si irradiava come un raggio benefico tutto intorno, anche sulla vita pubblica e professionale. All’Aretè individuale si accompagna infatti un’idea di responsabilità collettiva, in una visione eroica e certamente molto elevata e nobile del destino.
Più realista e “umana”, meno trionfale, è invece la visione ebraica. Negli Shemonà Peraqim, Otto capitoli, Maimonide dispiega la sua dottrina del Giusto mezzo, dello Shvil haZaav, la via aurea della medianità e della lontananza dagli eccessi, per giungere alla conoscenza del Bene tramite le virtù morali e le mitzvot. Se l’uomo sta attento a soppesare e correggere quotidianamente le proprie azioni onde mantenersi nella “via di mezzo”, egli crescerà spiritualmente e, acquisendo livelli via via più elevati, si avvicinerà al Bene. Maimonide parla della metafora del Castello del Re e dell’importanza di dominare le proprie passioni (Kochot haNefesh): se non ci si cura delle proprie passioni e non si governano vizi e virtù, il nostro vagare nel Castello del Re (la vita), sarà vano e non “vedremo” le porte di accesso alle varie stanze (la buona relazione con gli altri, la capacità di amare e attirare prosperità e gioia nella propria esistenza, l’igiene interiore e comportamentale, eccetera…). È il tema della ricerca del divino e del potenziale che alberga in ciascuno di noi. Persino la figura di Mosè, ad esempio, collocata ai più alti livelli spirituali, mancava di una cosa, ed esibiva un’ultima Mechitzà, una barriera: la collera, la sua incorreggibile irosità, quel “tappo” che gli saltava a ogni malefatta dei figli d’Israele. Mosè pagherà un prezzo altissimo per non aver saputo controllare l’ira, non entrerà in Eretz Israel struggendosi davanti alla visione di una meta mai raggiunta, sospirata tutta la vita. Mosè non riesce a controllarsi; non a caso, per Maimonide le virtù etiche consistono appunto nella capacità di comportarsi secondo il “giusto mezzo”.
Ciascuno di noi legge la realtà dal vertice della piramide dei propri fantasmi, paure, bisogni. Viviamo chiusi nella prigione dell’Io, ma talvolta la porta si apre ed entra qualcosa, entriamo inopinatamente in comunicazione con gli altri, qualcosa si scioglie, la collera si acquieta, la ruggine si cancella, la rabbia tace e usciamo per un attimo da noi stessi; riuscendo a intavvedere una terra promessa fatta di altro, collaborazione, visione del Bene comune, empatia, sguardo d’insieme. Non è forse questo che i Maestri chiamano l’Aavat Israel? Un augurio, una promessa, la via mediana che viene dall’ascolto.
Fiona Diwan