Dal sogno della terra a quello dell’accoglienza. Dal sogno della Pace a quello della Parola e della Torà.
Una storia in cammino, una psiche che abbraccia cielo e terra, dimensione umana
e trascendente. Come accadde a Ya’akov e alla sua celebre scala. Domenica 15 settembre in tutta Italia la XX Giornata Europea della Cultura ebraica
Caro lettore, cara lettrice,
settembre solitamente è il mese che segna una ripartenza, un nuovo inizio. Accade per tutti, chissà come l’anno inizia qui, nella penombra soleggiata di una stagione che finisce: l’estate ripiega le sue ali e incontra lo splendore quieto dell’autunno, mentre tutti rimuginano piani e strategie prima di ributtarsi nella mischia, mentre mettiamo a fuoco ciò che davvero vogliamo e ci preme realizzare. Fuori e dentro di noi. Non a caso il mese di Elul che precede Rosh haShanà indica nell’ebraismo un tempo di preparazione, un tempo dedicato all’introspezione e all’autoanalisi, in vista di una teshuvà intesa come “un volgersi indietro, un tornare sui propri passi”, per capire che cosa è andato storto o diritto, dove si sono verificati l’inciampo o la tentazione sbagliata. Insomma, una specie di tagliando esistenziale per guardare avanti più lucidamente, una messa a fuoco spirituale che passa attraverso una ricognizione nei nostri comportamenti e nei fatti accaduti durante l’anno che si sta chiudendo: questo sarebbe il senso del mese di Elul che quest’anno coincide con settembre (Rosh haShanà cade il 29 settembre). Un tempo che ci invita a alzare l’asticella della sincerità, cosa che, a volte, può risultare problematica. Vedere le cose come stanno, prendere atto dei propri limiti e cadute, non è cosa semplice; la verità può essere anche distruttiva o sconfortante, persino l’Altissimo – secondo un Midrash -, per riuscire a creare l’Uomo dovette smettere di dar retta all’Angelo della Verità che, con petulanza, incessantemente lo scoraggiava e non la finiva più di metterlo in guardia dal generare una creatura che avrebbe detto solo bugie e falsità.
Insomma: si sbaglia, ci si rende consapevoli, si chiede scusa e si riprova. È il corpo a corpo di ciascuno di noi con se stesso, con la paura, il bisogno, l’egoismo, la debolezza, l’invecchiare… Siamo tutti a caccia di un patto con l’esistenza, non c’è stranezza, non c’è moralismo, ciascuno ha una porta segreta che si apre su un altro mondo. Su qualcosa di affilato e dolce, perché la complessità non può essere soltanto crudele, non ci possono essere soltanto le ombre, non si può vivere sul bordo di un’ordinaria follia senza imparare a fare amicizia con la propria personale “spada nel cuore” (e sperare di usarla per trafiggere il buio).
A volte siamo troppo delicati per sopportare la realtà, diceva il barone di Münchhausen che perciò preferiva passeggiare sulla luna o volare su una palla di cannone. Per questo anche a noi piacciono le ombre e le illusioni, per questo ci ostiniamo in questa dimensione farinosa e opaca, ostile alla luce. Un vago senso di inadeguatezza emotiva ci porta a rifuggire la luce. Così, a volte, capita che si venga sfiorati dal sospetto terribile che la vita abbia imboccato a un certo punto una strada sbagliata, un vicolo angusto che non volevamo e da cui non riusciamo a tornare indietro. Que reste-t’il de nos amours cantava Charles Trenet, che fine farà tutto questo nostro creare e dissipare?
Settembre-Elul ci pone domande che il mese successivo, Tishrì, porterà a maturazione e compimento: ci dice che si può cambiare strada, che si può cambiare l’angolo di lettura, che basta avvertire l’urgenza di un cambiamento per ascoltare e vedere in modo diverso; e che polvere, macerie, calcinacci vanno attraversati e, a tempo debito, sgomberati.
Fiona Diwan