Vite interrotte dal Covid? Mai più. Finalmente il tempo della ripartenza sembra giunto (in barba alle varianti). Tornare alla normalità è possibile (con cautela), malgrado inevitabili inciampi sanitari. Poter di nuovo studiare insieme, sposarsi, celebrare ricorrenze, brit milà e bar mitzvà… perché la vita continua. Ecco le storie prima dolenti e poi felici di questi due anni di pandemia, un happy end inaspettato e gioioso, malgrado tutto. Perché, come dice un proverbio yiddish,
“non puoi controllare il vento ma puoi regolare la vela”
Caro lettore, cara lettrice,
ci sono due figure di artisti del XX secolo su cui si sta riaccendendo l’attenzione, personaggi capaci di parlare alla nostra sensibilità come solo al linguaggio dell’arte è concesso fare. Sono Carlo Levi e Mark Rothko, grande figura dell’ebraismo torinese il primo ed ebreo lituano naturalizzato americano, il secondo. Carlo Levi lo ritroviamo in due mostre, a Milano (Palazzo Reale, Il Realismo magico, fino al 27 febbraio) e a Lucca (Fondazione Ragghianti): di questo medico, scrittore e pittore antifascista colpisce, oggi ancor più di ieri, la lucidità aguzza, la capacità di farsi voce appassionata delle istanze morali del proprio tempo, dagli anni Venti agli anni Cinquanta. Carlo Levi dipingeva con una pennellata livida, violenta e espressionista, piena di repressa protesta nei confronti della realtà che aveva sotto gli occhi. E nei romanzi ritraeva il meridione d’Italia e le campagne della Lucania abbandonate a se stesse, l’incapacità del Belpaese di elaborare e emanciparsi davvero dal passato fascista; come oggi, dopo l’odierna pandemia, anche nel 1945 si trattava di rimettere in piedi l’Italia, ma per farlo si doveva guardare in faccia se stessi e avere coraggio, smantellare tutti i cascami del passato, svoltare davvero. Cosa che non avvenne mai, nella fretta di una ripartenza (e di dimenticare), di tornare alla vita e alla normalità, come Levi stesso ci racconta nel romanzo L’orologio, un capolavoro dimenticato e oggi riproposto, romanzo politico e parabola dell’infingarda attitudine umana a nascondere lo sporco sotto il tappeto.
Come un pezzo di ghiaccio su una piastra accesa, la vita dovrebbe cavalcare il proprio scioglimento, diceva il poeta Robert Frost (Fuoco e ghiaccio, Adelphi). Levi lo sapeva: viviamo davanti all’enigma del tempo che ci plasma, il presente diventa una “fugace particella del passato”, lo “scioglimento” è un’operazione dolorosa. Ma a volte, il passato può essere una crepa da cui entra la luce, perché tutti proviamo a riconciliarci con gli strappi della vita, combattendo con il passato affinché smetta di infestare le nostre esistenze. È la vecchia storia del tornare indietro per andare avanti, lo sappiamo. Ieri come oggi, vale per la grande Storia e vale per le minuscole esistenze e le vicissitudini individuali di ciascuno di noi.
Lo sapeva anche Mark Rothko che tuttavia non riuscì mai a mettere insieme passato e futuro, Fede e Etica, ossessionato com’era dalla metafora del racconto del sacrificio di Isacco e dalla lotta interiore di Abramo, diviso tra la Fede nel Padreterno e amore per il figlio (e dal disgusto morale per se stesso, nel dover commettere infanticidio). Le cromie metafisiche di Rothko, le sue immense masse di colore galleggiante che oscillano sotto il nostro sguardo, sono la formulazione visiva dei palpiti del cuore, il colore astratto e la dimensione del sentimento, masse ondeggianti tra vibrazione e fissità, testa e immaginazione, inconciliabili. In quelle tele giganti s’incontravano il riverbero materico di severi studi talmudici (che aveva compiuto fino ai 15 anni) e il colore vertiginoso del mito greco, nell’attesa di una ripartenza che per l’artista lituano non verrà mai. Appunto, in attesa di uno “scioglimento”, Levi come Rothko, come noi, oggi.
Fiona Diwan