Luoghi, odori, sapori, rumori… e tante emozioni, prima fra tutte la nostalgia. Sono gli aspetti che emergono con più forza dal nuovo film di Ruggero Gabbai Du TGM au TGV. Une histoire tunisienne, che racconta, attraverso molte voci, la vita di quella che fu la più grande comunità ebraica del Maghreb. E che oggi, nonostante l’esilio di molti, continua a vivere con orgoglio
Caro lettore, cara lettrice,
non sappiamo mai quando i ricordi repressi, la nostra memoria disarticolata, decideranno di riemergere alla coscienza per bussare alle nostre spalle, a volte dolcemente, altre volte come una pugnalata inattesa, quasi sempre come un risveglio inconsapevole e non desiderato, sovente doloroso, quei fili pendenti e slacciati che non vorremmo ricuciti al nostro presente che incalza. Ma non accade mai così. Avviene invece che grappoli di ricordi, grumi di memoria si coagulino, inopinatamente, e volti e momenti dimenticati riemergano dal buio cognitivo a cui il nostro presente affaccendato li aveva condannati. Il meccanismo dell’attivazione della memoria resta, a livello scientifico e cognitivo, un fenomeno assai misterioso sebbene ampiamente indagato, e una delle pietre angolari della creatività letteraria. Reminiscenza sotto forma di reverie, schegge di passato, retaggi sepolti, labirinti di ricordi dentro cui perdersi con affetto, con amarezza, con rimpianto o sgomento.
È quello che mi sorprendo a pensare mentre attraverso le belle sale parigine della mostra dedicata a Marcel Proust: du coté de la mère (14 aprile-28 agosto 2022, al MAHJ, Museè d’Art et d’Histoire du Judaisme, rue du Temple, Paris 3e), interessante mostra su come l’appartenenza ebraica abbia segnato la Recherche e l’intero corpus della creatività proustiana, una disamina a 360 gradi dell’identità ebraica di Proust in relazione alla sua opera, appartenenza ebraica come asse importante nella costruzione della sua personalità letteraria (in mostra 230 pitture – Monet, Vuillard, Rodin, Bonnard -, disegni, incisioni, documenti…). Il cotè ebraico in Proust e nei suoi personaggi, il posto degli ebrei nella società francese del tempo, sono i temi che la mostra si propone di indagare: storia della famiglia, laboratorio di scrittura, la conoscenza dei testi ebraici (in particolare la Meghillat Ester e lo Zohar), la struttura del testo fatto d’infinite note, la tecnica di scrittura con quel proliferare di collages di carta che fioriscono sui manoscritti, a infinito commento. E poi l’Affare Dreyfus, il fatto che sia citato 256 volte nella Recherche, evento-simbolo dello sconvolgimento della società francese che vedrà Proust (e la madre Jeanne) allineato con le posizioni di Emile Zola, contro il padre Adrien che era un antidreyfusardo. E ancora: il tema dell’omosessualità associata dagli antisemiti francesi dell’epoca alla condizione ebraica, omosessuale come alter ego dell’ebreo; infine, il tema della memoria come centrale sia nel patrimonio ebraico sia nella scrittura di Marcel. Nel centenario della morte, un viaggio nel mondo di Proust attraverso il prisma della sua appartenenza ebraica (sua madre Jeanne Weil, era nata nel 1849 in una famiglia borghese ebraica originaria della Renania).
Come agisce allora, come “lavora” in ciascuno di noi il sostrato profondo del retaggio ebraico? A quali sorprendenti ibridazioni darà esito a livello cognitivo e perciò creativo? Come si sviluppa l’arte dell’emozione inconscia? Il premio Nobel per la medicina Eric Kandel, tra i pionieri delle moderne neuroscienze, partendo dallo studio delle lumache di mare della California giunse a capire i meccanismi biochimici che portano alla formazione della memoria nelle cellule nervose. All’analisi delle cellule delle lumache aveva “ibridato” la memoria della sua infanzia ebraica nei boulevard della Vienna degli anni Trenta, la vicenda dei genitori provenienti dall’Ucraina poverissima, i suoi studi nella Yeshiva Flatbush di Brooklyn. Perso nei crepacci della memoria, nutrito dal “mantra” del Zachor, Kandel come Proust e come gli ebrei da sempre, si sarà chiesto come fiorisce il ricordo e il perché della sua misteriosa e ostinata persistenza, il perché del suo enigmatico abisso e delle sue voragini, spiritualmente così feconde, ieri come sempre.
Fiona Diwan