Il Bello, il Buono, il Giusto. Da sempre il pensiero ebraico antepone la dimensione Etica alla dimensione Estetica. Ma la bellezza, Tiferet, è anche un’emanazione del Divino, senso di armonia e di radiosa sacralità. Perché una vita giusta e buona è anche bella. La grande differenza tra Atene e Gerusalemme è che i Greci credevano nella Santità della Bellezza mentre gli Ebrei nella Bellezza della Santità. Domenica 10 settembre eventi e incontri, spettacoli e conferenze, in tutta Italia promossi dall’UCEI e dalla Comunità ebraica di Milano
Caro lettore, cara lettrice,
nulla va disdegnato nella ricerca della felicità ovvero, ebraicamente, nella ricerca di una vita giusta e buona, e pertanto bella. Com’è noto, l’ethos ebraico si ancora nell’agire, abita nel quotidiano e nei suoi piccoli gesti, educa il nostro senso del limite con la pratica delle mitzvot, disdegna eroismi e magniloquenze, snobba i gesti eclatanti, mira a smantellare il nostro ego e le sue sparate muscolari, punta a bandire le moine ego-centrate da sempre nemiche della verità dell’essere. Nessuna affettazione nella ricerca ebraica della bellezza, nel suo tentativo di scansare il frivolo, eludere il gratuito, evitare il lezioso. Nessuna competizione, il cielo non deve arrossire degli incauti tentativi umani di imitare la bellezza della Creazione.
La ricerca del bello (e della felicità) è guidata da una preoccupazione etica: armonia, “divina proporzione” come attivatori del Giusto, subordinate a quel dettato biblico ancestrale che presiede all’economia di giustizia, al riposo settennale dei campi, allo Yovel (il giubileo), al riposo sabbatico come sospensione della fatica del vivere, eccetera… Bellezza come rivolta contro il primato dell’estetismo che tiranneggia un’epoca, la nostra, ossessiva nella ricerca nevrotica di un impossibile ideale di perfezione fisica e corporea, schiava dell’apparire e prigioniera di canoni estetici spesso inarrivabili.
Sempre in fatto di bellezza mi si permetta ora un salto di carreggiata. Vorrei entrare nel merito di quella femminile: perché quando a parlare di bellezza delle donne sono gli uomini, sembra vada tutto bene. Quando invece sono le donne stesse, ecco allora alzarsi sopracciglia, se non l’antico biasimo di vanitosità o immodestia.
Qualcuno recentemente ha ironizzato sul carattere protervo dell’ultima copertina di questo giornale, BetMagazine, quella dedicata alle eccellenze femminili del XX secolo, sapienza, competenza, bellezza ben distribuita in figure femminili a cui “il cuore non dà alla testa” anzi, semmai cuore e testa viaggiano dandosi la mano, emozione e razionalità inscindibili, con buona pace di Cartesio e di secoli dominati dalla dicotomia mente-corpo-emozioni. Copertina presuntuosa, orgoglio “femminista”, ovvio, è stato detto, che cosa ti aspetti da una redazione prevalentemente femminile? Eppure, ancora una volta – misoginia a parte – mi verrebbe da notare come da sempre a custodire le chiavi del “castello”, della continuità e dell’interiorità ebraica siano le donne. Le comunità ebraiche vivono nel loro agire e nel loro sentire, nel loro spirito di cura e dedizione, nel loro coraggio e nella loro lucidità, senza nulla togliere ovviamente al maschile.
La storia ebraica ne è piena, la storia biblica non ne fa mistero dai tempi di Shifra e Puah (le levatrici che salvando dall’annegamento nel Nilo i neonati maschi salvano l’esistenza del popolo ebraico), di Tamar che si rende giustizia da sola, di Judith che decapitando Oloferne riscatta il suo popolo, dal filo scarlatto di Rahab che rosseggia sulle mura di Gerico e consente la vittoria a Giosuè, dalle figlie di Tzelofkad che reclamano e ottengono da Mosè e dal Padreterno il retaggio ereditario del proprio padre stabilendo una regola di giustizia che verrà seguita in futuro. Non a caso alcuni Maestri dell’ebraismo lo hanno sottolineato: dobbiamo imparare dalla bellezza e dall’intelligenza delle donne, imparare da loro l’attaccamento alle loro Comunità di appartenenza e al popolo di Israele, dalla loro capacità di porre delle richieste nella maniera giusta in modo da ottenere quel che si vuole piuttosto che pretenderlo. Non è questa una forma ulteriore di bellezza?
Fiona Diwan