Sabato 7 ottobre 2023: una data che cambierà il corso della storia
in Medio Oriente. Un punto di non ritorno. L’efferatezza
del massacro perpetrato da Hamas nel Sud di Israele, dando
la caccia agli ebrei casa per casa (1400 morti, oltre 2500 feriti,
più di 200 ostaggi portati a Gaza – neonati, bambini, donne, anziani compresi) non consente di prevedere altro che una lotta senza quartiere al terrorismo di Hamas. Che va cancellato, come
si è fatto con Hitler e il Nazismo. Ecco le voci dei testimoni,
le analisi e le cronache di giorni drammatici
Caro lettore, cara lettrice,
gli schemi del passato non riescono più a contenere il presente, occorre un nuovo paradigma, una nuova narrazione per guardare a quanto sta accadendo oggi in Israele e nella Diaspora ebraica, anch’essa travolta da una ondata di ostilità come non se ne ricordavano dagli anni Trenta del secolo scorso, le piazze europee infiammate dall’odio nelle manifestazioni pro-pal e pro-Hamas che abbiamo visto in molte città europee, le vittime trasformate in carnefici, i tagliagole in guerriglieri. Un circolo di violenza che rischia di allargarsi e travolgere tutti.
Confesso che questo è, in tanti anni, forse l’editoriale per me più difficile da scrivere. Restare lucidi, restare saldi, non farsi catturare dagli incubi del passato. Nel mio caso, quando mia nonna mi parlava della grande sinagoga di Aleppo data alle fiamme nel pogrom del 1947, e di lei che, nel panico, scappa nascosta tra le balle di fieno trasportate su un carretto che con un colpo di fortuna riesce a uscire da Aleppo, in direzione Beirut («ricordati che se io sono qui oggi è perché il vetturino di quel carretto, per distrarle, regalò alle guardie un pacchetto di sigarette», mi ha ripetuto per anni).
Un editoriale difficile non solo emotivamente ma anche da un punto di vista giornalistico. Scegliere le riflessioni e le analisi giuste, capaci di andare oltre il flusso di una cronaca sempre mutevole e non restituibile dalle pagine di un mensile; guardare oltre l’angosciante attualità quotidiana che risulterebbe, in un mensile cartaceo, già superata nell’arco delle 24 ore (figurarsi dopo settimane). Fornire delle coordinate di lettura della guerra in corso in Israele sperando che non invecchino e non vengano doppiate dagli eventi. Per questo motivo, la redazione di Bet Magazine ha scelto di offrire in queste pagine le analisi di due saggisti e docenti universitari, Sergio Della Pergola e Claudio Vercelli che forniscano una visione d’insieme e una prospettiva sugli scenari futuri; per lo stesso motivo abbiamo inserito in questo numero testimonianze di prima mano e non reperibili su altri media, come quella del giovane Sagi Gabay, sopravvissuto alla strage del festival musicale nel deserto, e quella di Daniel Lanternari, sopravvissuto del kibbutz di Nir Yitzchak. E abbiamo raccontato la Milano ebraica che scende in piazza e la nostra vicinanza.
Lo scrittore Saul Bellow definiva Israele un curioso stato-fortezza, una società colta e sofisticata eppure anche guerriera, Sparta e Atene insieme, la tecnologia che sorride alla letteratura, generali a braccetto con scienziati e poeti, arte della guerra e creatività dell’arte di vivere. Israele è tutto questo e per questo, in definitiva, ce la farà. Ce la farà perché non ha scelta, ce la farà perché Hamas non può diventare l’apripista del nuovo jihadismo, ce la farà perché Joe Biden nei due formidabili discorsi dell’11 e del 19 ottobre ha dichiarato agli americani che questa è una guerra che riguarda anche tutti loro, Stati Uniti e alleati, e che nessuno pensi di voltarsi dall’altra parte, la posta in gioco è troppo alta («E a tutti voi che soffrite – a quelli di voi che stanno soffrendo, voglio che sappiate: io vi vedo…»). Ce la farà perché è una bizzarra arca di Noè in un oceano di distruzione. E se è vero che il terrorismo finisce per non conoscere limiti e la violenza islamista non fa altro che riprodurre se stessa, allora, in definitiva, anche per questo Israele ce la farà.
Fiona Diwan