La Shoah che viene ribaltata contro di noi. Decenni di giornate della Memoria vanificate. La ripresa dei temi più beceri dell’antisemitismo dell’ultimo secolo, con pregiudizi e leitmotif che parevano scomparsi. Il 7 ottobre ha fatto emergere i demoni di un tempo, che forse non erano mai veramente scomparsi. Come continuare allora a fare Memoria? Come evitare l’ipocrisia di chi piange gli ebrei morti ma non difende quelli vivi?
C’è chi propone uno “sciopero” della Giornata e chi invece non intende mollare. Un’inchiesta
Caro lettore, cara lettrice,
ci risiamo. Siamo soli, ci sentiamo soli. Alcuni tra i nostri amici più cari, che pensavamo sicuri, fanno fatica a telefonarci, persino a salutarci, se li incontriamo tacciono, ci guardano in silenzio, con un disagio che mette a disagio. L’odio antiebraico è tornato, spunta negli uffici, sbuca alla macchinetta del caffè, filtra nei corridoi e tra le parole dei colleghi, s’intrufola all’aperitivo conviviale; l’odio si siede al ristorante del centro a Milano (mica in periferia!) e sogghigna al tavolo accanto, e allora allunghi l’orecchio mentre ascolti, “ma questi ebrei che cosa vogliono ancora? Sono secoli che rompono, che intrigano, che comandano, non gli basta mai…”.
La giudeofobia è tornata, un antisemitismo delle piazze, un antigiudaismo da salotto o da tinello piccolo borghese, quello di una middle class impoverita e arrabbiata. Giudeofobia come una febbre incendiaria: ci siamo svegliati una mattina dentro un ecosistema morale malato, un riscaldamento globale degli animi, avvolti da un vapore malsano, in una combustione dell’atmosfera di cui non c’eravamo accorti. Tocchiamo un’ostilità millenaria, caricaturale, irrazionale che risale a ben prima della nascita di Israele. Siamo tornati a sentirci come i nostri genitori e nonni, ebrei come coriandoli nella Storia, dati in pasto alle folle per distrarle dall’ultima carestia, eliminati o sospinti qua e là dai potenti di turno per dirottare lo scontento dall’ultima vessazione, dall’ultima crisi economica, dall’ultima catastrofe sociale. Un bersaglio alla portata di tutti, “democraticamente” condiviso dall’arcobaleno dei rossi, neri, bianchi, verdi, a destra, a sinistra, a nord e a sud. Un clima isterico e avvelenato che confonde la giudeofobia con il principio di solidarietà per le vittime.
È il resuscitato riflesso antisemita che si avvolge nel mantello della nobile indignazione e della difesa dei deboli, presentando il conto dei fallimenti dell’occidente a Israele. Ci sentiamo soli, malgrado l’appoggio dichiarato di molti capi di Stato occidentali o di governi amici di Israele. Come spesso accade, tutto si consuma tra le pieghe del sistema. Stiamo davvero entrando nel tempo dell’insicurezza permanente? Un’insicurezza sistemica che si alimenta nel gioco della radicalità e della polarizzazione? Siamo davvero piombati nell’“epoca dell’intranquillità” come la chiamano alcuni filosofi (Miguel Benasayag e Teodoro Cohen), dove la partita si disputa tra dinamiche estremamente conflittuali alimentate da forme di violenza ideologica?
Amicizie raffreddate, legami dissolti, delusioni da persone che stimavamo, gente abitualmente animata da umanità, empatia, cultura. Ex compagni di università che indugiano in teorie strampalate di complotti universali, che accennano a lobby ebraiche alacremente al lavoro per destabilizzare il pianeta. Persone che scopriamo improvvisamente abbonate a blog, siti, radio e tv complottiste, “quelli sì dei veri media che ti svelano le cose come stanno e che cosa c’è dietro, che ti dicono quello che l’informazione main stream nasconde; non vorrai mica credere ai giornali tradizionali, vero?”.
Tutti concordi sullo stigma dell’ebreo colonialista, quintessenza della protervia dell’uomo bianco e oppressore. Israele incluso. E nessuno mai che ti dica nulla sul massacro di quasi 500 mila siriani, degli uiguri in Cina, dei 400 mila yemeniti…: i morti palestinesi i soli cadaveri degni di indignazione. Certamente la guerra è orrenda, ma allora è orrenda ovunque, a Gaza come altrove, i morti sono tragici dappertutto e a essere inaccettabile è l’indignazione selettiva, quella della giudeofobia travestita da solidarietà e amore per gli oppressi.Ma perché il mondo ce l’ha con voi ebrei?, mi sono sentita chiedere a una cena. Fa strano doverlo spiegare nel 2023, 80 anni dopo la Shoah. Eccolo di nuovo il mostro, penso. Il mondo dimentica, ha la memoria corta, mi dico.
Oggi si avvicina la data della liberazione di Auschwitz, il 27 gennaio. Che fare? Come ricordare? Davvero è stato tutto vano, decenni di lavoro sulla Memoria finiti nel bidone della spazzatura? Non è così, vietato mollare, rispondono in tanti, studiosi, gente comune, politici, artisti. Ebraicamente, anche stavolta, non molleremo.
Fiona Diwan
In copertina: Memoria, l’icona strappata (elaborazione grafica © Dalia Sciama)