Oltre le illusioni perdute (per ricostruire il domani)

2024

 

n° 3 - Marzo 2024 - Scarica il PDF
n° 3 – Marzo 2024 – Scarica il PDF

C’eravamo illusi che l’antisemitismo fosse un incubo del passato. Credevamo che il Mossad fosse la migliore Intelligence del pianeta e che avrebbe protetto Israele per sempre. Pensavamo che si potesse arrivare a una pace condivisa o a uno status quo stabilizzato e che il Mar Mediterraneo fosse una culla di fratellanza tra i popoli e non
il nuovo ring di una violenta battaglia. Un bagno di realtà ci sta riportando con i piedi per terra. Che fare? Come agire e reagire? Azioni concrete, informazione,  strategia della speranza…

 

(In copertina: illustrazione di © Noa Kelner)

 

 

 

Caro lettore, cara lettrice,
l’inizio – ogni nuovo inizio, ogni rinascita -, comincia con il “riconoscere ciò che è”, ovvero come stanno davvero le cose. Elementare, Watson? Sì. Ovvio, banale, lapalissiano e… difficilissimo. Se non si parte da qui, non se ne esce.
Riconoscere ciò che è: un’operazione faticosa, un esercizio irritante, antipatico, significa non tanto coltivare il pessimismo quanto proiettare sulle cose una luce non ingannevole, diurna, coraggiosa, lucidamente spietata. La verità è che, irreparabilmente, amiamo illuderci, ci piace coltivare un variegato ventaglio di wishful thinking, coccoliamo i nostri desideri a tal punto da pensare che di sicuro diventeranno veri, reali, tangibili; persi nei nostri speranzosi pensieri ci culliamo nella certezza che le sorti magnifiche e progressive sorrideranno alla nostra strada. Va da sé che speranze e desideri non sempre corrono in parallelo col senso di realtà.

 

“Riconoscere ciò che è” resta la cosa più difficile da praticare perché è doloroso, amaro, spesso insopportabile e, come afferma lo psicologo tedesco Bert Hellinger, a volte è più facile soffrire che accettare una soluzione, è più facile adattarsi a procedere sghembi o sciancati che non modificare la postura, appunto, perché costa fatica, sforzo, tormento, una presa d’atto della realtà che il più delle volte non piace affatto. Il meccanismo dell’illusione è proprio questo: convincersi che le cose stiano andando nella direzione giusta, perlomeno quella più conveniente, oppure in quella “meno peggio”. Il potere delle illusioni è enorme. Che cosa faremmo senza sogni, direte voi? Nulla. Vero. Ma le illusioni sono dei sogni il cui risveglio è sempre da incubo. E qual è il conto che siamo disposti a pagare per la disillusione, per lo sbarco sul continente della realtà? Quanto salato sarà?

Progettando questo numero di BetMagazine mi ha colpito quanto la maggior parte delle riflessioni di esperti, studiosi, analisti, opinionisti si focalizzasse su un tema quasi ossessivo: quello delle illusioni smarrite e sul bruciante prezzo del risveglio, sul fragore del crollo, sullo sconcerto della sua magnitudo. Dopotutto, ci siamo detti, il 7 ottobre ha dimostrato che Israele non può più chiudere un occhio davanti a un nemico genocida al suo confine che sta costruendo la sua capacità di combattere. Dopotutto, dopo più di quindici anni di prosperità, sviluppo tecnologico, boom immobiliare, l’onnipotenza in cui si cullava Israele è finita; dopotutto, ciò che è accaduto ha spazzato via morbide illusioni fatte di superiorità tecnologica da start up nation, l’orgoglio superbo di un’invincibilità non più messa alla prova. Fauda non più una gloriosa fiction ma fotogrammi che impallidivano davanti alla realtà; e il giovane Akiva Shtisel non più un sognante ragazzo che si baloccava con fantasie sospese tra pittura, arte e Torah quanto un haredì con mitraglietta Uzi al collo e shtreimel in testa.

Dopotutto: pensavamo davvero di farla franca dopo quasi 80 anni di filo-semitismo condito di Memoria alternato, a tratti, da sussulti antisemiti a bassa intensità?
E infine, per venire a casa nostra, che dire del pensiero woke, un incubatore di irrealtà, un gigantesco falò di whishful thinking, un pensiero speranzoso che spegne i Lumi della ragione in questa nostra età delle illusioni? In nome della tolleranza, il pensiero woke pratica l’intolleranza, in nome della difesa degli oppressi non vede i lupi travestiti da agnelli, in nome di un pacifismo ottuso non coglie i segnali di allarme. In nome dei buoni sentimenti, cancella uno a uno tutti i princìpi su cui si sono costruite le società aperte. E la storia non dimostra forse che i peggiori orrori sono stati commessi in nome dei buoni sentimenti?

È come se una condizione di sonnambulismo culturale stesse avvolgendo il nostro tempo e rendesse vana la lampadina rossa che la nuova giudeo-fobia accende. Il problema è profondo. In tutto il mondo occidentale abbiamo dimenticato come rispondere alle esigenze della realtà, a distinguere la maschera dal volto, il travestimento dalla reale forma del corpo. Abbiamo dimenticato, appunto, come riconoscere ciò che è.

Fiona Diwan