Gli studi sui nuovi documenti d’archivio di Pio XII. La certezza definitiva che il papa sapeva. Le “anime tiepide” e la politica Vaticana durante la Shoah.
I rapporti tra Chiesa cattolica ed Ebraismo? Al minimo.
Un cammino accidentato, doloroso (per gli ebrei).
E adesso? Battute d’arresto, passi indietro e una attualità sconcertante. Nel passato,
le amare ragioni dell’oggi
Cara lettrice, caro lettore,
era una sera d’inverno del 2014 quando sotto i portici solenni dell’Arcivescovado, in piazza del Duomo, un gruppetto di ebrei tra cui la sottoscritta (c’erano anche Yoram Ortona, Vittorio Robiati Bendaud, Bruno Segre, Myrna Chayo), si avviava all’incontro con due prelati, don Luigi Nason, Monsignor Gianantonio Borgonovo e la badessa Fernanda Vaselli.
Nasceva così, quella sera, l’Amicizia Ebraico Cristiana di Milano e ne veniva firmato l’atto fondativo. Anni ottimisti, pieni di fiducia, che oggi paiono reperti archeologici, detriti da gettare nella discarica della storia. Da allora, sembra essersi consumato un giro di boa totale, politico e simbolico, nell’atteggiamento della Chiesa, del Vaticano e di alcune gerarchie ecclesiastiche.
L’ebraismo è oggi l’elefante bianco nella stanza, un tabù, un convitato di pietra, ignorato, stigmatizzato e reso invisibile perché considerato (di nuovo!) “cattivo” e impresentabile. Ed ecco allora spuntare un bambin Gesù de-cristianizzato e de-ebraicizzato, bellamente disteso sulla kefiah araba bianconera, una stupefacente palestinizzazione del sacro infante. Ed ecco la trasmutazione: prendo Gesù, lo rendo un povero oppresso dal “colonialismo”, lo faccio parlare in dialetto aramaico, lo spoglio di qualsiasi ebraicità originaria, ne faccio un figlio di Gaza o di un generico melting pot semitico-cananeo onde attualizzarlo in funzione antigiudaica (figuriamoci, mica era ebreo Gesù, ci mancherebbe! Era palestinese!).
Il tutto perfettamente in linea con una cultura Woke che oggi riaggiorna un cattolicesimo in gramaglie. Perché, si sa, cosa c’è di meglio dell’antiebraismo, cosa c’è di più coesivo quando non si hanno più fedeli, quando non si ha più nulla da dire, quando il laicismo aggressivo di oggi non ti lascia spazio e le chiese sono vuote perché non entra più nessuno? Ecco allora che la vecchia passione antiebraica torna utile, l’antico e odioso collante sempre buono per creare identità e consenso. Certo, puoi dire di non amare gli ebrei e che lo fai per difendere i cristiani in terra d’Islam.
Puoi dire che lo fai perché sei un messaggero di pace e che devi essere equidistante, mediatore tra le parti, palestinese e israeliana. Certo, puoi dire che stare nel mezzo conviene sempre nelle faccende politiche e che “indagare su un possibile genocidio” a Gaza sarebbe auspicabile (parole di Bergoglio), visti i tanti bambini sotto le bombe. Quei tanti “piccoli Gesù di oggi” devastati dalle guerre (cito, testuale, dal messaggio Urbi et orbi di Papa Francesco del Natale del 2023). Già. Bombe israeliane che ammazzano i piccoli Gesù? Non vorrete mica che si riparli di deicidio, vero?
Mai le relazioni ebraico-cristiane sono state così inerti, paralizzate da una incomunicabilità che sembra insormontabile. Una regressione fattuale e teologica che rispolvera i vecchi clichè degli ebrei vendicativi e irosi, alimentata dai nuovi influencer cattolici che sembrano voler ignorare il clima antisemita e la putredine oratoria contro Israele. A nulla sembrano essere servite le visite degli ostaggi in Vaticano, a nulla la Lettera aperta a papa Francesco di 400 rabbini e intellettuali coinvolti nel dialogo ebraico-cristiano. Ancora oggi sentiamo dire da Vaticanisti e prelati che “il papa non è certo antisemita”. Triste è il solo pensiero che qualcuno senta il bisogno di sottolinearlo. Quel gennaio 2014, in piazza Duomo, era soltanto 10 anni fa; ma sembra passato un secolo.
Fiona Diwan