di Paolo Castellano
Contemporaneamente allo sbarco di Amazon in Israele, lo scorso 3 giugno 400 leader, investitori e imprenditori del settore retail provenienti da Israele e da tutto il mondo hanno partecipato alla prima conferenza del Retail Innovation Club, un’organizzazione israeliana che aiuta i commercianti a comprendere “le esigenze, le sfide e le opportunità del settore retail” del futuro.
Economia
PepsiCo acquisisce l’israeliana SodaStream per 3,2 miliardi di dollari
di Redazione
L’acquisto di SodaStream risponde alla volontà di PepsiCo di far fronte alla domanda in calo di bevande analcoliche, nonché alla crescente attenzione alla sostenibilità da parte dei consumatori.
Israele, accordo con la Cina: 300 milioni di dollari per la carne vegana
di Carlotta Jarach
Di otto aziende al mondo che stanno lavorando alla carne vegana, tre sono israeliane. Tanto che la Cina ha di recente siglato un accordo da 300 milioni di dollari.
Investimenti: rompete il salvadanaio, c’è modo di farlo fruttare
Una buona idea? Investire con costanza piccole somme. Un incentivo
al risparmio che nel tempo dà buoni frutti. Oggi gli strumenti finanziari più duttili lo consentono.
Investe solo chi ha molti soldi. Oltre l’80% dei sottoscrittori di fondi comuni ha una ricchezza finanziaria che supera i 100.000 euro. Il risultato è che solo chi ha già tanti soldi beneficia degli andamenti dei mercati finanziari, mentre gli altri non riescono a risparmiare o depositano la liquidità in strumenti poco redditizi ed efficienti, alimentando il cosiddetto capitale inagito.
Con qualche accorgimento e sfruttando le opportunità offerte, anche chi dispone di un capitale limitato può investire con successo.
I motivi che determinano l’attuale condizione per cui solo i più ricchi investono sono molteplici. Vi sono innanzitutto delle ragioni di natura tecnica che riguardano gli strumenti finanziari.
Soglie di ingresso elevate. Il taglio minimo di un’obbligazione societaria è spesso di 100.000 euro. Volendo sottoscrivere invece un titolo di Stato la situazione migliora perché l’importo necessario si abbassa a 1.000 euro. Anche ammesso che si abbiano da parte 1.000 euro da investire in un BTP, questo acquisto presenta un forte limite, ossia quello di non essere per nulla diversificato. Per costruire un portafoglio diversificato acquistando singoli titoli, il capitale minimo necessario supera facilmente i 100.000 euro. I fondi comuni di investimento propongono invece un investimento diversificato anche con capitali contenuti ma comunque spesso dell’ordine dei 1.000 o 5.000 euro.
Costi fissi vanificano i risultati. Con un capitale investito contenuto i costi fissi risultano particolarmente insidiosi perché erodono facilmente gli eventuali guadagni. Pochi troverebbero conveniente pagare i costi amministrativi di un deposito titoli per investire qualche centinaia di euro, o per sottoscrivere uno strumento che ha dei costi fissi di uscita elevati.
Per quanto l’industria del risparmio si sia indirizzata molto più ai detentori di grandi patrimoni, proponendo prodotti adatti a grandi investimenti, le principali barriere che hanno tenuto i piccoli risparmiatori lontano dagli investimenti vengono dai risparmiatori stessi.
Chi ha meno soldi non si ritiene adatto a investire. Vuoi per diffidenza, vuoi per minor conoscenza dello strumento, chi non dispone di grandi patrimoni spesso non ha mai preso in considerazione l’idea di poter investire.
Gli sviluppi dei mercati finanziari, sicuramente all’estero ma lentamente anche in Italia, offrono sempre più la possibilità di investire davvero a partire da cifre piccolissime (anche 5€). In questo modo l’investimento diventa un incentivo a risparmiare, quasi senza accorgersene.
5€ in una settimana sono una cifra minima per molti: l’equivalente di un caffè ogni giorno lavorativo, di un gratta e vinci o di una birra. A nessuno verrebbe in mente di investire 5€ per uno o più dei motivi citati sopra. Se però quest’azione diventasse un’abitudine?
5€ alla settimana sono 20 al mese e 260 all’anno. Se qualcuno all’indomani dell’introduzione dell’euro, nel gennaio 2002, avesse iniziato a mettere da parte 5€ alla settimana, oggi avrebbe accumulato 3.425€. Non male, come risultato di un’abitudine che è costato uno sforzo davvero minimo.
Se questi stessi 5€ alla settimana, anziché essere infilati nel porcellino salvadanaio, fossero stati investiti sui mercati azionari globali (qui rappresentati dall’indice MSCI World), oggi il capitale a disposizione, tra somma dei risparmi accumulati e guadagni dati dall’andamento dei mercati sarebbe pari a 5.628€.
A chi questo traguardo non sembrasse un granché basti pensare che se i 5 euro alla settimana fossero stati 10, il valore del capitale oggi sarebbe pari a 11.255 euro.
Investire a piccoli passi presenta un enorme vantaggio: si riescono ad accantonare più risorse di quanto si pensava sarebbe stato possibile e con il minimo sforzo. Inoltre, a differenza di quanto avveniva con il porcellino salvadanaio, il risparmio negli anni può apprezzarsi seguendo gli andamenti dei mercati finanziari.
Per queste ragioni e per favorire il risparmio di impulso, dal mirco risparmio a importi più consistenti, AcomeA ha realizzato l’app Gimme5. Con Gimme5 è possibile investire in un fondo comune di investimento a partire da 5€, senza commissioni di ingresso e uscita: un servizio semplice e accessibile in qualsiasi momento di ogni giorno. I grandi traguardi si possono raggiungere anche a piccoli passi, una modalità che le Società di Gestione del Risparmio e gli altri soggetti del settore finanziario dovrebbero favorire.
Finanza: difendi i tuoi soldi in poche, semplici mosse
di Alberto Foà, Presidente di AcomeA SGR
Perché gli israeliani voteranno pensando più all’economia interna che alla politica estera
Mancano solo due giorni alle elezioni israeliane del 17 marzo. E mentre i sondaggi si rincorrono per dare le ultime previsioni sul vincitore – Netanyahu o Herzog? – i media israeliani offrono interessanti analisi qualitative sui possibili esiti.
A questo proposito molto interessante è l’articolo di Ben Sales sul Times of Israel ripreso da Israele.net, che riflette su quanto oggi la sicurezza sia prioritaria per gli israeliani, e su quanto sia invece l’economia a preoccupare maggiormente la cittadinanza.
«La scorsa estate Israele ha combattuto la sua guerra più lunga da molti anni a questa parte – scrive il giornalista – e ha visto missili cadere su tutto il paese, seguiti poco dopo da una serie di attacchi terroristici a Gerusalemme. Un anno fa i negoziati israelo-palestinesi sono di nuovo naufragati. Intanto si registra un aumento delle tensioni lungo il confine nord-est di Israele, il resto del Medio Oriente è sempre in presa a sanguinosi tumulti e le potenze mondiali negoziano un accordo con l’Iran sul suo minaccioso programma nucleare”.
Dunque la sicurezza nazionale è la questione al centro della campagna per le elezioni di martedì prossimo, giusto? Nient’affatto. Un sondaggio della scorsa settimana ha mostrato che, in vista del voto del 17 marzo, la maggior parte degli israeliani pensa innanzitutto al carovita. La sicurezza arriva semmai al secondo posto.
“Non è che la questione guerra e pace non sia importante per gli israeliani – continua -. Semplicemente non credono che le elezioni faranno molta differenza. Un sondaggio di febbraio dell’Israel Democracy Institute ha rilevato che gli israeliani non ritengono il loro governo responsabile per la situazione di stallo con i palestinesi né per la crisi nei rapporti Usa-Israele. Men che meno, ovviamente, per le lotte intestine che travagliano il mondo arabo, palestinesi compresi. Stando al sondaggio, più di due terzi degli israeliani ritengono che Israele sia legato a doppio filo agli Stati Uniti in materia di difesa, politica estera ed economia; ma solo un quarto circa degli israeliani ritiene che il governo Netanyahu sia il principale responsabile del deterioramento dei rapporti con la Casa Bianca, e solo il 43% ritiene che il governo degli Stati Uniti sarebbe più amichevole se a Gerusalemme si insediasse un governo di centro-sinistra”.
Circa i palestinesi, gli israeliani sono convinti che vi sia ben poco che possa fare il loro governo, di sinistra come di destra. Il 58% condivide in parte o del tutto l’affermazione che il processo di pace con i palestinesi non avanza semplicemente perché, allo stato attuale, non c’è una soluzione a portata di mano per la controversia tra le parti. Una percentuale simile dice che, se il governo fosse formato da una coalizione di centro-sinistra, l’Autorità Palestinese non mostrerebbe comunque una maggiore flessibilità nei negoziati né maggiore disponibilità al compromesso.
“I maggiori partiti politici non sono particolarmente illuminanti circa il loro futuro approccio coi palestinesi – prosegue Sales -. Il Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu ha rilanciato la propria opposizione a uno stato palestinese, ma non presenta un piano alternativo. Isaac Herzog, l’avversario di Netanyahu, sostiene la soluzione a due stati e un parziale congelamento delle costruzioni negli insediamenti, ma sul processo di pace dice solo che vuole rilanciare il negoziato senza spiegare perché l’Autorità Palestinese dovrebbe accettare oggi quello che ha più volte rifiutato in passato.
In economia, i partiti israeliani sono un po’ più precisi. “Molti hanno presentato piani per affrontare la crisi degli alloggi e il carovita. In fondo, le questioni economiche sono più presenti nella vita di tutti i giorni degli israeliani. Mentre i conflitti militari possono scoppiare ogni due o tre anni, le bollette si pagano ogni mese. Uno spot del partito Kulanu, che ha centrato la campagna su questi temi, coglie proprio questo aspetto quando chiede agli elettori: “Quante volte hai ricevuto una telefonata dalla Casa Bianca? E quante volte hai ricevuto una telefonata dalla tua banca?”».
Mario Monti a Gerusalemme per discutere di “Crescita, Scienza, Cultura”
I rapporti fra Italia e Israele sono sempre più all’insegna della cooperazione scientifica, industriale e culturale. Sono questi infatti i temi all’ordine del giorno del summit intergovernativo Italia-Israele in programma a Gerusalemme il 25 ottobre. Intanto a Tel Aviv sono protagoniste le start-up italiane…