L’incontro fra i giovani ebrei del Centroeuropa

Giovani

Con il passare del tempo mi convinco sempre di più che noi giornalisti faremmo cosa utile imparando a tacere. Non nel senso, ovviamente, di sottostare passivamente a qualche censura, ma in quello di imparare ad ascoltare gli altri. E soprattutto di lasciare spazio ai giovani.
Mentre stavo mettendo giù qualche pensiero per il primaditutto di questi giorni, ho pensato che forse quello che avrei voluto dire ai lettori per una volta potrebbe attendere qualche giorno.
L’urgenza di esprimersi non deve impedirci di saper ascoltare. E il miglior servizio che possiamo rendere a noi stessi e alle nostre comunità è quello di dare voce alle giovani generazioni, insegnare loro a farsi sentire nella società contemporanea e mettere loro a disposizione gli strumenti per fare confronti, ragionare e lanciare un proprio messaggio.
L’incontro degli scorsi giorni fra i giovani ebrei del Centroeuropa costituisce un’occasione straordinaria per mettersi in ascolto. Eccone un resoconto.

Guido Vitale (direttore@mosaico-cem.it)

Oltre 150 giovani Ebrei provenienti da Italia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Croazia e Ungheria hanno trascorso insieme una settimana di vacanza a Folgaria, in Trentino.
La Winter-j, nome che richiama chiaramente la celeberrima settimana estiva “Summer-u” che riunisce circa 400giovani Ebrei da tutta Europa alla fine di ogni mese di agosto, è nata su iniziativa dell’Ugei ed è stata organizzata assieme alla Danube Weinberg Region e l’American Jewish Joint Distribution Committee.
La settimana è trascorsa tra sciate slle piste di Folgaria e conferenze e dibattiti su tematiche religiose, culturali e politiche. I workshop sono stati tenuti da alcuni ospiti sia provenienti dall’estero sia dall’Italia tra i quali tre provenienti da Israele e uno da Milano che a mio avviso hanno affrontato i temi più significativi e consoni al tipo di pubblico che formavamo.

Il primo a intervenire è stato il giovane editorialista del quotidiano israeliano Ma’ariv Nadav Eyal, che ci ha parlato del cambiamento del principale obbiettivo della politica di Israele, anche come specchio di un mutamento non trascurabile negli animi degli stessi cittadini israeliani, da prima a dopo la seconda intifada. Fino al 2000 lo scopo di ogni governo era trovare una strada che portasse alla pace perpetua coi Palestinesi, e lo stesso scopo veniva perseguito da ogni israeliano, al punto tale che, come ci ha raccontato il giornalista, ogni genitore usava parlare della pace futura coi vicini ai propri figli prima di andare a dormire. Da quando Arafat rifiutò l’offerta di terre da parte di Rabin, e progressivamente negli anni successivi, le speranze degli israeliani in una pace duratura cominciarono a venir meno fino a sparire quasi del tutto con l’inizio della seconda intifada. Il giornalista di Ma’ariv, tristemente, ci ha spiegato che ora lo scopo, sia da parte della destra sia da parte della sinistra israeliana, è assicurare Israele dagli attentati terroristici e il lancio dei missili Kassam, mantenendo cosi uno status quo volto si a limitare i morti, ma purtroppo almeno per ora, non di certo ad alimentare vite come le intendiamo noi in Occidente, ricche di scambi culturali, economici e turistici con i vicini.

Della stessa opinione era anche Yoel Hasson, giovanissimo deputato di Kadima alla Kneset e già membro dello staff di Sharon. Questo giovane politico, tuttavia, ha espresso posizioni decisamente più radicali del giornalista di Ma’ariv, rispecchiando anche le posizioni del partito a cui appartiene. Oltre ad affrontare i temi quali il ritiro da Gaza, l’eventuale e non immediato ritiro dalla Cisgiordania e le questioni demografiche, ha dipinto Israele come uno Stato che non ha né ha mai avuto importanti responsabilità nelle situazioni di crisi e conflitto che hanno visto coinvolto lo Stato Ebraico dalla sua fondazione ad oggi. Secondo Hasson, infatti, persino la guerra in Libano, considerata almeno in parte un fallimento anche dagli stessi militari e da chi si vede rappresentrato dalla destra, è stata una vittoria. Da un lato il giudizio di Hasson è condivisibile riguardo alla riuscita da parte d’Israele di aver aperto gli occhi alla comunità internazionale sul pericolo Hezbollah così da portare finalmente un contingente internazionale al confine. Ciò che però mi ha colpito del suo discorso, e non si tratta della qualità di vedere il lato positivo delle cose, è il successo strettamente militare che, secondo Hasson, Israele avrebbe dimostrato in quest’ultimo conflitto. Da un lato Hasson ha ammesso la difficoltà di stabilire in anticipo la quantità esatta di armi e combattenti che il gruppo terrorista aveva e quindi di vincere in maniera decisiva, ma ha anche aggiunto che: “se Israele avesse voluto, avrebbe potuto anche togliere l’elettricità a tutto il paese in un attimo”. E ancora, rispondendo ad una domanda in cui gli si chiedeva cosa sarebbe successo se l’attuale goverso Siniora fosse caduto e Hezbollah avesse preso il suo posto, Hasson ha risposto “È nell’interesse di Israele che questo governo resti in carica, ma, se dovesse cadere, non sarebbe un male perché a quel punto il governo e quindi lo Stato avrebbe la responsabilita internazionale delle azioni terroristiche compiute da Hezbollah e Israele potrebbe radere al suolo il Libano”. A parte la risposta un po’ rozza e poco sensata, sulla responsabilità dello Stato Hasson ha anche commesso un errore: se Israele, e non credo, avesse avuto bisogno di un casus belli per radere al suolo il Libano avrebbe potuto considerare il Libano già responsabile delle azioni di Hezbollah prima della guerra, dato che a quel momento il governo aveva due ministri Hezbollah e, secondo il Progetto di codificazione sulla responsabilità dello Stato, art.5, “lo Stato è responsabile delle azioni dei propri organi, anche quando questi agiscono in eccesso di potere”.

Il terzo ospite, era Neil Lazarus, anche lui arrivato direttamente da Israele ma inglese di nascita, ci ha fatto riflettere sulla società israeliana e su come si possa, si debba, e significhi combinare Democrazia e Stato ebraico. È stato importante parlare delle contraddizioni e del dibattito acceso che c’è in Israele su siffatta questione e se e in che misura sia necessario sacrificare un po’ di Democrazia o di confessionalità dello Stato per riuscire ad averli entrambi.

Infine abbiamo avuto l’occasione di parlare con rav Levi Hazan su eutanasia e accanimento terapeutico secondo la cultura ebraica. È stato bello discutere insieme e non sentire l’ennesima lezione ex catedra, poiché il dibattito seduti in cerchio ha posto tutti nella condizione di contribuire a pari merito su un tema di vitale importanza e soprattutto di attualità. Rav Hazan ha sottolineato l’importanza suprema che l’Ebraismo attribuisce alla vita e che la vita di ognuno di noi appartiene a Dio e non al singolo. Egli quindi è l’unico che può dare e togliere la Neshamà agli individui e, anche quando si soffre enormemente, non è permesso staccare le macchine che permettono di respirare, mangiare e bere. C’è chiaramente un dibattito acceso tra rabbini sulla questione se e quali macchine siano da considerare come “sale sulla lingua” e quindi fonte di sostentamente esterno che non deve per forza continuare a tenere in vita il corpo che altrimenti andrebbe verso una morte naturale e quali macchine, appunto quelle che permettono le funzioni vitali, una volta attaccate non si possono più spegnere finché, nonostante il loro aiuto, la persona muore.

La Winter-j è riuscita con successo nel suo intento, unendo sci, divertimento, nuove amicizie e riflessioni e dibattiti sulla nostra religione e la politica dello Stato che ci accomuna tutti, indipendentemente da quello in cui siamo nati o viviamo. Si è detto molto soddisfatto anche il presidente Ugei uscente Tobia Zevi, soprattutto per essere riuscito, insieme agli altri consiglieri, ad organizzare il primo campeggio invernale Ugei di carattere veramente internazionale. Infatti, fin’ora, la collaborazione in questo senso con le altre organizzazioni ebraiche giovanili era stata decisamente limitata sia nel numero dei partecipanti, sia nell’organizzazione congiunta delle attività. Inoltre quasi tutti gli ospiti sono stati proposti e invitati dal gruppo italiano oltre al fatto che lo stesso luogo del campeggio ha visto l’Unione Giovani Ebrei d’Italia come padrone di casa.